ESCLUSIVA - Menasci dice addio: “A un allenatore serve ambizione, con la Lazio programmi diversi”

17.08.2016 18:20 di  Gabriele Candelori  Twitter:    vedi letture
Fonte: Gabriele Candelori - Lalaziosiamonoi.it
ESCLUSIVA - Menasci dice addio: “A un allenatore serve ambizione, con la Lazio programmi diversi”

Mario Menasci, 31 anni, 7 spesi da allenatore, ultimo caso della lunga estate biancoceleste. La riorganizzazione societaria della Lazio in questi mesi ha colpito ogni campo. È partita dalla parte tecnica, è passata per la comunicazione e lo staff sanitario, non si è fermata davanti al settore giovanile. Ma i punti interrogativi non mancano. Arturo Diaconale (a proposito di nuove figure) dichiarava pochi giorni fa: “In questa prospettiva il processo in atto non vuole escludere, ma valorizzare tutti i validi collaboratori del presente disposti a costruire una Lazio sempre più efficiente ed ambiziosa”. È così che la vicenda Menasci, dopo il discusso addio da Roma di Santoni, regala un nuovo controverso capitolo. Il tecnico e avvocato romano prende la sua prima squadra nel 2013. A fine stagione i Giovanissimi Sperimentali possono vantare in bacheca 23 vittorie su 24, una Coppa Italia Under 13, il trofeo ‘San Basilio’ e il torneo ‘Città di Nettuno’. L’anno successivo, come vice di Franceschini con gli Allievi Nazionali, raggiunge le finali play-off. Non solo: l'ex Futbolclub consegue il patentino Uefa A con il massimo dei voti, ottenendo una menzione speciale da parte del settore tecnico FIGC e diventando il più giovane in Italia a possedere tale abilitazione. Nel settembre del 2015 siede sulla panchina dei Giovanissimi Provinciali, condotti al primo posto nel rispettivo girone con lo score di 24 successi in altrettante partite. Numeri che lo portano ad avere un bilancio complessivo di 47 vittorie su 48 incontri con 306 reti realizzate e sole 14 subite. E allora com’è possibile che le strade con la Lazio si siano separate? Per fare chiarezza sulla questione, la redazione della Lalaziosiamonoi.it ha contattato in esclusiva il diretto interessato.

Partiamo dall’epilogo. Il suo è un addio che ha dell’incredibile…

“Partirei da una premessa: avrò verso la Lazio sempre un ricordo affettuoso e delle parole dolci. Sono riconoscente al presidente Lotito che, a dispetto di chi possa pensarla diversamente, è stato eccezionale nei miei confronti. Mi ha dato la possibilità di diventare un allenatore professionista, inviandomi al corso Uefa A che permette di allenare fino in Lega Pro e fare il vice in A e B. Se un giorno riuscissi ad esaudire questo mio desiderio, sarebbe la prima persona che dovrei ringraziare. Detto ciò, penso che avrei potuto avere un percorso con qualche soddisfazione in più. Ma voglio vedere il bicchiere mezzo pieno e valorizzare quanto fatto in questi tre anni”.

Quali sono state le motivazioni espresse dalla società nell’incontro?

“Le due parti avevano programmi diversi, il mio obiettivo era crescere. In questi anni ho sempre raggiunto i risultati richiesti, sfruttando al meglio le risorse che mi sono state messe a disposizione. La testimonianza è il numero di giocatori che dai Giovanissimi Sperimentali sono arrivati in Under 16. Anche quest’anno quattro ragazzi sono passati con l’Under 15 e altri due sono con i Regionali. Non voglio soffermarmi sulla stagione che ha avuto numeri sorprendenti. Ma fare punteggio pieno in un campionato è sempre un’impresa molto ardua che sottende una specificità nel lavoro e nell’organizzazione frutto di molteplici studi o valutazioni. Data questa diversità, ovvero la mia ambizione di crescere e i differenti programmi societari (su cui non mi soffermo in quanto non di mia competenza), l’epilogo è stato naturale. La sana ambizione deve far parte delle prerogative di un allenatore. Un tecnico senza la giusta ambizione, non potrà mai motivare in modo adeguato i suoi ragazzi”.

Torniamo con la mente al termine dell’ultimo campionato. Si sarebbe mai aspettato qualcosa di simile?

“Sono abituato a non aspettarmi mai nulla dalle persone, cerco piuttosto di far leva solo sulle mie capacità. È normale ci fosse una speranza inconscia, il campo aveva dato riscontri su cui obiettivamente era impossibile non porre l’attenzione. Avevo chiesto a me stesso un salto di qualità per le esperienze accumulate in questi tre anni di Lazio. Dopo aver disputato un campionato coi Giovanissimi Sperimentali e Provinciali, fatto una stagione positiva con gli Allievi Nazionali insieme a Franceschini e aver ottenuto anche l’abilitazione Uefa A, mi sentivo pronto per un ulteriore passo in avanti. Non sarebbe corretto comunque giudicare le scelte fatte, posso solo prendere atto della diversità di programmi e intraprendere un nuovo percorso con la massima serenità”.

A che punto è il settore giovanile della Lazio?

“Non voglio dare una valutazione complessiva sul settore giovanile biancoceleste perché non è il mio compito e potrei aver perso qualche passaggio, non facendone più parte. Viene comunque da anni di cambiamenti in cui sta cercando di assumere una nuova identità. Alcune novità hanno portato senza dubbio giovamento. Il potenziamento dell’area scouting ha fatto sì che i gruppi fossero più forti, permettendo ai migliori giocatori di essere visionati, seguiti e acquistati direttamente dalla società a differenza del passato. Credo però che, nell’ambito del calcio italiano, sarebbe fondamentale valorizzare anche la figura di uno scout per gli allenatori affinché i criteri di scelta e valutazione del lavoro possano essere basati su parametri di natura meritocratica e non relazionale”.

Lei ha vissuto sia l’era di Coletta che quella di Lensen. Qual è il suo giudizio sulla rivoluzione dell’olandese?

“I cambiamenti sono legati principalmente, come detto, alla creazione di un’area scouting. Ma è stata data anche un’identità a livello di sistema di gioco attraverso il modello olandese del 4-2-3-1, impostazione base per tutte le squadre del settore giovanile. In questo modo è possibile dare coerenza e continuità al progetto tattico e alla crescita dei giocatori nei vari anni, permettendo ai ragazzi di cambiare gruppo senza trovare differenze sotto questo aspetto. Allo stesso tempo gli allenatori devono tuttavia dare sempre una lettura e un’interpretazione dei principi di gioco che aiuti il calciatore a riconoscere e valutare le situazioni di gara in modo univoco con quanto provato durante la settimana. Ad esempio, in alcuni momenti della partita, coi ragazzi abbiamo avuto la capacità di trovare soluzioni alternative che valorizzassero le loro caratteristiche in modo differente ed originale. Altra novità rilevante è poi l’opportunità di giocare sotto età. I più bravi possono così confrontarsi con difficoltà maggiori e avere più possibilità di crescita e assunzione di responsabilità”.

Nel suo percorso in biancoceleste si è tolto tante soddisfazioni. Cosa si sente di dire ai suoi ragazzi?

“I ragazzi hanno rappresentato la parte più bella del mio percorso alla Lazio. Il rapporto che ho instaurato con loro è la dimostrazione dell’empatia che sono riuscito a creare e della qualità del lavoro svolto. Mi mancheranno tantissimo: a partire dai 2001, passando per i ’98,  i ’99 e i ’00 con cui ho interagito da vice di Santoni e arrivando ai 2002 e i 2003 più pronti che hanno integrato la rosa lo scorso anno. Ho avuto la fortuna di lavorare davvero con tutte le fasce di età  attualmente presenti nell’agonistica. Questa è stata una grande ricchezza: relazionandomi con loro ho avuto la testimonianza che il mio modo di lavorare e comunicare fosse quello giusto”.

Cosa le riserva ora il futuro?

“In questo momento non voglio prendere decisioni affrettate. Per un allenatore alcuni momenti in cui fare un passo indietro e aspettare possono rappresentare uno step indispensabile. Tra le idee c’è sicuramente la possibilità in futuro di poter lavorare insieme al mio amico Roque Junior con cui ho frequentato il corso Uefa A. Abbiamo una compatibilità sia in termini caratteriali che di visione del calcio”. 

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