Lazio, Ledesma e il 26 maggio: "Finale unica, ma non riuscirei a rigiocarla. Rivincita? Non credo..."

26.05.2023 12:45 di  Jessica Reatini  Twitter:    vedi letture
Lazio, Ledesma e il 26 maggio: "Finale unica, ma non riuscirei a rigiocarla. Rivincita? Non credo..."
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Giornata di ricordi, di emozioni, di felicità. Sono passato dieci anni da quel 26 maggio del 2013, da quella storica vittoria della Coppa Italia contro i rivali di sempre, in un derby unico che ha messo in palio un trofeo. Tra i protagonisti di quella giornata c'è anche Ledesma, uscito anzitempo dal campo causa infortunio, che ai microfoni di Radiosei ha ripercorso quel periodo bellissimo.

“Dieci anni sono tanti, mi sento un po’ vecchio (ride, ndr). Ho tantissimi ricordi e non solo della partita. E’ stata talmente grande quella gioia che mi ricordo ogni momento, ogni dettaglio anche del prima e del dopo. La cosa più bella è aver portato una gioia infinita ai tifosi”.

Quella finale vinta ti ha reso ancora più laziale?

“No, già stavo fuori di testa per questi colori. La Lazio mi è entrata dentro quando ho superato il momento peggiore in termini di rapporti con il club. Sono arrivato a quella finale che già ero pieno e con la maturità giusta. Dopo il rinnovo, in alcuni derby ho anche un po’ esagerato con le espulsioni. Al 26 maggio, invece, sono arrivato con la giusta dose di lazialità”.

Cosa c’era in quel piano finale a fine partita?

“C’era un mese di attesa, c’era un’annata intera in cui eravamo partiti bene, ma poi è diventata negativa. C’era la stagione, il percorso in Coppa Italia, la voglia di vivere un momento unico, il momento in cui abbiamo saputo che avremmo affrontato loro. C’era il ritiro a Norcia, c’era uno sfogo che non ho scaricato fino al momento del riscaldamento”.

Occasione storica, che preparazione è stata?

“C’era la finale, non si poteva mollare. Le motivazioni c’erano sempre, ogni giocatore la voleva giocare. C’era tensione in campionato, ma non abbiamo lasciato nulla da parte perché non avevamo una rosa larghissima. La speranza era di arrivare nelle migliori condizioni fisiche. E’ stato importante la scelta del club di portarci a Norcia per isolarci dall’ambiente”.

La partita…

“La partita è stata brutta. Tesa, tirata, ma guardando i miei compagni avevo la consapevolezza di la squadra avesse lo sguardo giusto. Dall’altra parte non vedevo quegli occhi fermi e convinti. L’ho sempre detto, anche durante la partita. Tra i tifosi c’era timore, vedendo gli occhi dei miei compagni, invece, avevo sensazioni positive”.

Pensiero fisso?

“Di mantenere la promessa fatta ai miei figli ed a mia moglie che l’avremmo portata a casa. L’altro pensiero era sulle mie condizioni fisiche, non ero al meglio e durante la partita su una giocata di Destro ho sentito un dolore che mi ha dato il segnale che non potevo più dare il massimo. Noi dovevamo vincere, non c’era spazio per individualismi. Questi sono i pensieri che mi hanno segnato”.

In panchina che sofferenza è stata?

“L’ho vissuta sul lettino negli spogliatoi con il fisioterapista Sistili. L’ho cacciato via, volevo stare solo, gli ho detto di tornare solo quando avremmo vinto. E’ stata una sofferenza, non vede, non capire, non sentire è stato veramente angosciante. Poi l’ho sentito arrivare di corsa quando Senad ha segnato…”.

Ambiente romano provinciale?

“Chi ha voglia di non capire il sentimento delle persone può tranquillamente andare avanti con questi pensieri. Sarebbe inutile rispondere a chi vuole sminuire quel trofeo, quella finale, questa competizione che nel tempo ha assunto sempre più importanza”.

Ci sarà mai rivincita?

No, non credo, è una cosa molto difficile. C’è stato un momento con Reja in panchina in cui abbiamo rischiato di andare su quella via. A Napoli ci sarebbe bastato l’1-0, abbiamo pareggiato. Non è accaduto e non credo possa più succedere. Durante la gara ci pensavo che potesse accadere”.

La rigiocheresti?

“Non la rigiocherei, sono cose uniche, che si vivono una sola volta. Pensa che la partita non l’ho mai più rivista in video. Il senso del dovere compiuto resta lì, alto, che mi ricorda bene che noi volevamo quello e l’abbiamo fatto”.