FOTOPARTITA - Da Djordjevic a Keita, la maledizione del palo come ‘sliding door’ della finale

Pubblicato ieri alle 19.30
19.05.2017 07:10 di  Saverio Cucina   vedi letture
Fonte: Saverio Cucina - Lalaziosiamonoi.it
FOTOPARTITA - Da Djordjevic a Keita, la maledizione del palo come ‘sliding door’ della finale
© foto di Federico Gaetano

L’eterno ritorno di una finale all’Olimpico. Seppur con equilibri ben diversi rispetto a due anni fa, è ancora una volta il legno a strozzare l’urlo in gola ai biancocelesti, che questa volta però accusano il colpo ad inizio gara, per poi dare il là allo show bianconero del primo tempo. L’ultima sceneggiatura con la Lazio in finale raccontava di una squadra capace di tenere in bilico la Vecchia Signora fino ai tempi supplementari. La botta dalla distanza di Filip Djordjevic toccò addirittura due volte il palo prima di graziare l’incolpevole Storari. Fu solo il presagio della beffa finale targata Matri. Sconfitta a testa alta e coppa alla Juve. Quest’anno, pur con interpreti diversi, il risultato non cambia. Keita non va oltre il legno, grazie alla deviazione provvidenziale di Barzagli, ma poi la Lazio si eclissa, quasi accettando in silenzio l’ennesimo verdetto beffardo del destino. Un crocevia ormai ridondante nella finalissima contro i bianconeri, ma che non esenta i ragazzi di Inzaghi da qualche responsabilità di troppo…

UNA JUVE CHE ‘FA LA LAZIO’? – Sono bastati 45’ agli uomini di Allegri per sentenziare la formazione di Inzaghi. La Lazio parte bene, aggredisce la Juventus cercando di sfruttare le ripartenze soprattutto con Keita, che in avvio – inutile ricordarlo – sfiora il gol del vantaggio. Qualche minuto più tardi però, la squadra sembra già troppo sfilacciata, quasi in preda ad un eccesso di sicurezza. La rete di Dani Alves arriva a difesa scoperta, con un errore di comunicazione evidentemente tra Wallace e Lulic. Un semi-contropiede sfruttato al meglio da Alex Sandro che con un cross preciso coglie impreparata la difesa laziale. Anche nel successivo miracolo di Strakosha, Dybala dai 20 metri è troppo libero di battere a rete, sfruttando una sorta di ‘terra di nessuno’ che la Lazio di Inzaghi non era solita concedere in quella porzione di campo. Disattenzioni fatali che contro questa Juve anche il Barcellona in Champions ha pagato a caro prezzo. I dettagli e gli episodi, in effetti, hanno fatto la differenza, come aveva previsto il tecnico Allegri in conferenza. ‘Far male alla Lazio con le sue proprie armi’, questa è sembrata essere la principale chiave tattica usata dal tecnico livornese: squadra corta, tanta aggressività, capacità di sporcare le traiettorie avversarie e poi ripartire. Da lì in poi la qualità in avanti non mancava di certo, grazie anche al lavoro di sacrificio di Mandzukic. Troppo tardi poi nel secondo tempo per cercare di rimediare e far gol ad una difesa che – almeno nelle partite che contano – si è dimostrata a dir poco impenetrabile. La Lazio ci ha comunque provato, anche se…

UN SOLO AMMONITO, DANI ALVES… PER PROTESTE – Sia chiaro, il fair play è sempre un elemento da salvaguardare, soprattutto in un evento mediaticamente gigantesco come una finale. E la partita di ieri è stata un ottimo esempio da questo punto di vista. Eppure un pizzico di cattiveria agonistica avrebbe di certo reso un po’ più equilibrato il confronto. I derby giocati quest’anno sono forse il manifesto più esemplificativo per chiarire il senso di questo tipo di osservazione. Quella grinta tradotta in determinazione che nelle ultime stracittadine aveva accompagnato le vittorie degli uomini di Inzaghi, ieri sembrava essersi dissolta in poco tempo. Collezionare ammonizioni già nei primi minuti non avrebbe portato a nulla, ma leggere nel tabellino finale che l’unico ‘cattivo’ della gara è stato il ‘co-autore’ della vittoria juventina, che peraltro all’86' aveva ancora voglia di protestare, stride un po’ troppo con il verdetto finale del match. Sono mancati gli artigli dell’aquila, la garra che ci vuole in una finale, centellinata a dovere in base ai momenti di gioco. Non è questo però il tempo di drammatizzare oltremodo. In una squadra prevalentemente giovane e con ampi margini di miglioramento, sconfitte come queste servono, purché siano propedeutiche per un progressivo percorso di crescita. Mantenere questo standard diventa fondamentale. La palla passi ora alla società.