'12 maggio: cinquant'anni dopo', tre leggende alla presentazione del libro: l'evento

16.03.2024 08:30 di  Niccolò Di Leo  Twitter:    vedi letture
Fonte: Dal nostro inviato Niccolò Di Leo
'12 maggio: cinquant'anni dopo', tre leggende alla presentazione del libro: l'evento

Ieri sera, presso la libreria Feltrinelli in Via Libia, si è svolta la presentazione del nuovo libro di Guy Chiappaventi '12 Maggio: cinquant'anni dopo' che celebra le gesta della Lazio del 1974, a mezzo secolo di distanza dalla vittoria del primo Scudetto. Tra i nomi noti che hanno partecipato all'evento erano presenti anche Giancarlo Oddi, Sergio Petrelli e Luigi Martini. Questi hanno rivissuto quei magici anni, raccontando aneddoti più o meno noti, ma sempre emozionanti per il popolo laziale. Dalle gesta di Chinaglia, all'umanità di Maestrelli, passando per gli sconti in campo, le pistole e i palloni che erano divenuti simboli di quella che veniva chiamata 'una squadra di matti', ma non era altro che un insieme di compagni pronti a difendersi l'uno dall'altro in allenamento e l'uno con l'altro in campo. Di seguito alcuni spunti interessanti dei loro interventi. 

ODDI - "Quando ci sono questi eventi mi sento in difficoltà. Mi chiedo perché io sono qui e gli altri non ci sono più. Quando sono da solo a casa e penso ai miei compagni qualche lacrima mi esce. Ritengo sia una cosa normale. Al mondo non esiste una squadra che ha allenatore e due giocatori nella stessa cappella. Non esiste. Noi abbiamo avuto questa fortuna, con il permesso anche della famiglia Maestrelli, ma abbiao avuto questa enorme fortuna. Non so come siamo riusciti a fare una cosa di questo tipo, ma ce l'abbiamo fatta. Abbiamo avuto degli aiuti e a un anno dalla sua morte siamo riusciti a riportare Giorgio in Italia per metterlo insieme al mister. Lo abbiamo fatto noi e nessun altro, ma non perché gli altri non ci riescono, ma perché sono cose che non gli interessano. Ci dicevamo che eravamo matti, ma io sono convinto che tutti noi eravamo una famiglia. Condividere dei momenti per ricordarli sono cose che mi piace fare, sono ricordi che porterò fino a quando non me ne andrò anche io. A quel punto, però, spero di non andare dove stanno loro, sennò ci devo litigare (ride, ndr)". 

MARTINI - "A me di quella Lazio non mi manca niente, ma semplicemente perché io non sono mai andato via. Aver vissuto quel periodo con emozioni così forti, sono cose che restano dentro. Poi noi tendiamo a metterle da parte, a chiudere a chiave la porta, ma ogni tanto tornano su e a farlo sono i ricordi più belli. Non vi nego che ogni tanto, anche camminando per strada, c'è un qualcosa che mi scatena un'emozione, che mi riporta a quei tempi e mi trovo un angolo buio dove sfogare questa emozione. Non ti può mancare un momento così bello, dove tu sei stato parte di una squadra di quel tipo, così coinvolgente emotivamente anche se stavi in tribuna. I nostri tifosi, quelli che c'erano allora, hanno trasmesso un'emozione così forte ai figli al punto da fargli provare quel che ha vissuto il padre. A me raccontano di quella squadra con un sentimento tale che sembrava che loro fossero lì. Questo è un miracolo! Chinaglia? Quello che lo ha conosciuto meglio di tutti è Giancarlo. Io però, un giorno, posso dire di essere riuscito a conoscerlo bene. Eravamo in America e lui doveva giocare con i Cosmos. Mi chiede di passare la giornata insieme, io ero sorpreso ma gli dissi subito di sì. Quando arrivò il momento della partita in campo c'era lui, Beckenbauer e Pelé, ma i tifosi acclamavano solo 'Long John'. Lo stadio era pieno, c'erano 100.000 persone e lui stava facendo il giro di campo. Io lo presi e gli dissi: 'guarda Giorgio in quanti ti acclamano' e lui mi rispose: 'sì, son tanti, ma in 100.000 non valgono neanche un laziale. Io a quel punto capii che aveva nostalgia. Mi resi conto che nonostante avesse tutto stava soffrendo, gli mancava Roma, gli affetti veri, la Lazio".