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Ricavi Serie A: effetto tv finito, bisogna tornare a riempire gli stadi

di Antoniomaria Pietoso
Fonte: calcioefinanza.it

I tanti dibattiti aperti nelle varie città per rinnovare gli stadi necessitano di una immediata accelerazione. Almeno stando alle necessità dei club, che devono incrementare i propri ricavi, parametrate su quello che sta succedendo nel mercato più ricco, ovvero quello dei diritti tv.

Questi ultimi come noto rappresentano circa la metà degli introiti di squadre come Juventus, Roma e Inter per una media su tutta la serie A che tocca il 61%. Alla situazione dedica oggi una analisi il quotidiano La Repubblica nell’inserto Affari e Finanza in vista dei rinnovi della Chiampions e della serie A per il triennio 2018-2021.

Partendo anche dal fatto che gli ascolti tv della stagione 2015-1016 sono calati del 6% con 19 milioni di telespettatori in meno.

Pier Silvio Berlusconi ha annunciato l’addio di Premium al calcio, o meglio “di partecipare alle aste dei diritti di quest’anno, ma senza svenarsi e solo in presenza di un pacchetto preparato ad hoc per Premium”. 

Dalla Champions League (che ha perso la sponsorizzazione di Unicredit a partire dal 2018) l’Uefa vorrebbe incassare 300 milioni all’anno, con un incremento del 28% rispetto al triennio precedente.

La partita passa dunque nelle mani di Sky, ma non solo. Sembra che questa volta a partecipare all’asta (a un costo verosimilmente inferiore alla cifra spesa da Mediaset) ci sarà anche la Rai che potrebbe spartirsi oneri e onori con la stessa Sky, pagando il 40% del pacchetto e lasciando il 60% e la diretta esclusiva di tutte le partite a Sky, per acquisire nuovamente la diretta in chiaro di almeno un match.

Una scelta che porterebbe però la tv di Stato a perdere tutto il campionato di Formula 1 e probabilmente anche la Coppa Italia.

Tra gli aspetti da tenere in considerazione per il triennio 2018-2021 ci sono anche i diritti di trasmissione in streaming, sia per le tv italiane sia per quelle europee. Nuovi protagonisti che potrebbero scombinare non poco le carte ai player tradizionali.

Un primo assaggio è stato dato da Facebook che il 22 dicembre ha trasmesso una partita di Lega Pro. Quasi 50 mila visualizzazioni sulla pagina social di Lega Pro, 145 mila utenti raggiunti, oltre 25 mila interazioni.

Twitter ha già cominciato a investire sui diritti della Nfl, la National Football League, che valgono circa 7 miliardi di dollari. In Germania, Austria e Svizzera c’è Dazn, la «Netflix del calcio», piattaforma in streaming lanciata dal gruppo Perform (media company nata nel 2007 che produce e distribuisce contenuti di tutti gli sport attraverso un unico canale digitale) che si è aggiudicata i diritti per la Premier League, la Liga, la Serie A e la Ligue 1, per un abbonamento mensile da 9,99 euro.

Le pay tv hanno dimostrato anche a loro spese di poter fare a meno della Champions League. Lo stesso però non si può dire della serie A, asset ancora fondamentale del palinsesto (e dei conti) della televisioni.

Che qualcuno si aggiudicherà i diritti, non è in discussione (servono però 450 milioni l’anno). A fare la differenza però sono le tempistiche, soprattutto ora che l’Antitrust ha deciso di non approvare le linee guida per la vendita centralizzata dei diritti tv della serie A e delle competizioni organizzate dalla Lega Serie A perché l’offerta «non appare convincente sotto i diversi profili relativa alla disciplina sostanziale antitrust».

Luca Lotti, ministro dello Sport sta preparando un decreto legge per cercare di mettere ordine sulla questione. Ma i tempi, appunto, sono stretti e il rischio è che l’asta per la Champions venga fatta prima della serie A, togliendo risorse al campionato nazionale.


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