Le confessioni di Edy Reja: "Klose il più forte mai allenato, Biava il più sottovalutato"
Fonte: Saverio Cucina - Lalaziosiamonoi.it
Poche parole, schiette e profonde allo stesso tempo. Parla di sé Edy Reja, dopo il ritorno in auge in Serie A. L’obiettivo questa volta è la salvezza con l’Atalanta, una missione che non spaventa affatto il tecnico goriziano. “In Italia sono l’allenatore più anziano. In Europa mi batte solo Lucescu: tutti e due classe ‘45, lui di luglio, io di ottobre”, spiega ai taccuini del Corriere della Sera. In una lunga intervista, l’ex allenatore biancoceleste ha raccontato la sua storia, soffermandosi anche sui ricordi romani:
Cosa la tiene in panchina?
“Sarò banale: la passione. Il pallone che rotola mi piace ancora. Sento di poter dare qualcosa senza complicare la vita a nessuno. Adoro parlare ai giovani, far capire loro che il calcio è sport, prima che business: devi lavorare per te stesso, non per i soldi. Quando a fine giornata mi si avvicina un giocatore e mi dice “mister, che bell’allenamento”, ah: mi sento vivo”.
Il messaggio passa o i giovani d’oggi sono zucconi?
“Dopo aver allenato più di venti squadre ricevo sms da tutti, anche da chi non ho mai fatto giocare. Alla faccia del cambiamento culturale del calcio italiano, che ora è molta immagine e poca sostanza, che si è ristretto fino a diventare troppo tattico e aggressivo, sì: il messaggio passa”.
Com’è cambiato Reja, insieme al calcio italiano?
“Spostarmi tanto mi ha costretto a confrontarmi con le tipicità di ogni regione. Mia madre era slovena: noi slavi abbiamo una capacità di adattamento straordinaria, e ogni riferimento a certi presidenti non facili è puramente voluto. Dal Pescara di Galeone in poi la gavetta è stata tanta. Quattro promozioni in A, cinque anni a Napoli, la Lazio in due riprese. In Sicilia mi ero innamorato degli ulivi, turti per lu dolore . Culture, vini, cibi, gente, città. Mi piace assaggiare. È vero: forse dovrei scrivere un libro”.
Gli amici, oggi chi sono?
“Capello, cittadino del mondo, con cui purtroppo ormai mi vedo pochissimo. Con Gigi Delneri e Bruno Pizzul mi ritrovo ogni volta che possiamo, e trinchiamo alla grande".
Maldini, Zoff, Bearzot, pure Vendrame: come mai in questo lembo di terra sono nati tanti personaggi?
La mia idea è che siamo stati educati dal territorio. Sono attaccatissimo alla mia terra fatta di mare e colline. Ho ristrutturato la vecchia casa di famiglia di Lucinico. Un giorno tornerò a vivere là”.
Le manca un figlio maschio, cui tramandare il mestiere?
“No. C’è Elisabetta, che ha 42 anni e fa il funzionario regionale addetto alle politiche comunitarie”.
Dicono che Reja è un signore. Che dietro di sé lascia sempre bei ricordi...
“I giocatori li spremo, però amorevolmente. Mi piace mantenere buoni rapporti con tutti. Con i presidenti sono diretto, dico quello che penso. E loro apprezzano”.
De Laurentiis mica tanto. Dopo un Napoli-Lazio arrivaste alle mani...
“Quasi. Ci divisero, a un millimetro dallo scontro, i giocatori. Una scena da film western. Il giorno dopo il presidente mi chiama come se niente fosse. Oggi ci sentiamo sempre”.
Cosa la fa infuriare?
“I ruffiani e i falsi. E se mi tradisci, divento una belva”.
Un incontro storico?
“Due. Ayrton Senna: lo conobbi a Pescara, lo ritrovai a Bologna. Alla vigilia del Gp di Imola, quel Gp, cenammo insieme. Era agitato: la macchina non va, mi disse. Era speciale: sensibilissimo, delicato. E Pier Paolo Pasolini. Ci si ritrovava a Grado, d’estate, per le sabbiature e per giocare a pallone”.
L’attaccante più forte che ha mai allenato?
“Klose alla Lazio. Cura fisica maniacale, calcolatore nato”.
Il difensore?
“Biava. Sottovalutato. Mingherlino ma con una lettura del match che non ha nessuno”.
Il centrocampista è facile…
“Il rapporto di Pirlo col pallone, e la sua tecnica, non hanno eguali. Leggerezza unica”.
Un rimpianto?
“Il Milan di Rocco: Di Bella, che mi allenava a Palermo, disse di no. Poi mi feci male: menisco. E il treno era passato”.
Una nazionale le manca.
“Mai dire mai”.
La cugina Ljubica sostiene che Edi senza il calcio non sappia stare...
“Temo che quando è ora di smettere non lo capirò mai”.