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Lazio, Marchetti rivela: "Per la depressione non riuscivo più a tuffarmi"

di Christian Gugliotta

RASSEGNA STAMPA - Federico Marchetti ha rilasciato una lunga intervista ai taccuini de La Gazzetta dello Sport. L'ex portiere della Lazio ha raccontato apertamente il periodo complicato vissuto a causa della depressione, sottolineando come affidarsi alla fede lo aiutò ad uscirne. 

"Il ruolo della fede? Fondamentale, altroché. Ero depresso, non ho vergogna nel dirlo. Avevo smarrito me stesso, non riuscivo nemmeno più a tuffarmi tra i pali". Sul rifiuto di scendere in campo ai tempi del Cagliari ha poi aggiunto: "Stavo male, non ero nello stato mentale adatto per scendere in campo. Lo dissi al preparatore dei portieri. “Non me la sento”. Non fu capito. Giocavo a Cagliari e la società insabbiò tutto: venne solamente comunicato che ero infortunato. In realtà avrei avuto bisogno di sostegno, non di essere lasciato solo. La depressione è una malattia, va trattata con serietà".

Marchetti ha poi ricordato la sua esperienza alla Lazio: "Ricordi? Magici. Ancora oggi capita per strada di incontrare chi mi ferma e racconta ai figli: 'Lui era il portiere della finale del 2013'. Siamo diventati immortali con quella vittoria".

Alla domanda se ci fossero anche delle sue colpe dietro l'esclusione dalla rosa dopo tante stagioni positive, ha risposto: "Mah, sinceramente no. Roma è una piazza complicata, fai un errore e ti mettono in croce. Ricordo i commenti: 'Mo’ questo si deprime di nuovo'. Poi c’erano voci su di me che uscivo la sera e avevo vizi particolari: tutte bugie. Ma capisco che uno che fa uso di cocaina faccia fare più click di un depresso".

Sul legame con il club biancoceleste, infine, ha affermato: "Roma è casa mia. Ci vivo ancora. Quelle lacrime furono un gesto doveroso, anche se vestivo un’altra maglia in quel momento. Era la prima volta che tornavo all’Olimpico. I tifosi rossoblù non la presero bene, mi venne dato del laziale".


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