Rossi:"Io, papà comunista e le teste scoppiate"
Fonte: La Stampa
«Io comunista? Vittorio Rossi, mio padre, lo è stato. Caposezione del Psiup di Torre Pedrera, provincia di Rimini. Uno condannato a resistere. Faceva il calzolaio, uomo tutto di un pezzo, tutto casa e Casa del popolo. Diceva che essere comunisti voleva dire stare dalla parte di quelli che lavorano. E che quelli che lavorano sono uomini giusti. Ora, in tutta sincerità, a me le idee mi si sono un po’ confuse, e non sono così sicuro che i politici meritino il nostro voto».
Delio Rossi, tempo fa gli ultrà della Nord glielo fecero notare che alla Lazio i rossi di dentro non sono ben visti. «Ma no, basta con questa storia, tra i tanti difetti il nostro calcio ne ha uno enorme: garantisce troppa visibilità. E in giro c’è un mucchio di gente in cerca di visibilità».
A Sofia c’è andata di mezzo la Nazionale.
«A Sofia ha marciato un plotoncino di teste scoppiate. Quello che esprimono questi ragazzi mi impressiona abbastanza. Io non lo so cosa c’è dietro questi roghi di bandiere, credo solo un bel po’ di solitudine, un vuoto che vorrebbe farsi sostanza».
Torna spesso a Rimini?
«No, ogni tanto perché lì c’è la mamma. E gli amici, tutta gente fuori dal calcio, geometri, imbianchini, tranvieri. Il nostro lavoro ti porta via presto, e dell’infanzia ti lascia solo pochi ricordi».
Che calciatore era lei?
«Uno che faceva su e giù tra difesa e centrocampo. Niente di che, un operaio del pallone. Però mi applicavo. E ci mettevo il sentimento».
Rossi, la Lazio è prima, lei è l’allenatore del momento. «Non mi sembra una notiziona, siamo appena partiti. Però fa piacere».
Lotito sarà al settimo cielo.
«Il presidente non si scompone per così poco».
Ora andate d’accordo?
«Lotito ha un pregio, ti consegna la rosa e sparisce. Delle questioni tecniche si disinteressa. E poi non sono ingenuo. Annuso l’aria, se diventa irrespirabile schiodo prima che mi sbolognino».
A giugno le scade il contratto
«Giugno è lontano».
Mourinho le è simpatico?
«Ma sì. È uno che si districa bene, tra nomi, microfoni e circostanze. Anche quando i nomi fa finta di sbagliarli. L’allenatore bravo è quello che crea meno problemi. In Italia ci sono tecnici che si muovono come il padrone del vapore».
Se le dico che lei è un’aziendalista si offende?
«Perché? Io faccio gli interessi di chi mi paga. Dovremmo pensarla tutti così, credo. I calciatori per primi».
Perché, cosa fanno i calciatori?
«Si personalizza troppo. La responsabilità è anche di giornali e tv».
Quindi?
«Quindi al primo posto c’è sempre il progetto. Guardi gli attaccanti. Uno è un fenomeno, l’altro fa reparto da solo, l’altro ancora è insostituibile. Nel calcio nessuno fa reparto da solo. Ci sono centravanti che per fare un gol in più ignorano il gioco, l’assist al compagno. Il gol sta diventando un valore aggiunto per il risultato personale».
E chi la ispira questa filosofia, i manager, i procuratori?
«Io no di certo».
Lei in tv sembra uno pronto per il rogo.
«Non mi piace girare con le scarpe spaiate. Un’ora regalata al microfono è un’ora sottratta al campo. Alla fine torniamo lì, a mio padre, al significato che dai al tuo lavoro».
Zarate?
«A giugno il presidente mette in moto il registratore. Guardo, sembra forte. Rifletto sul fatto che il calcio arabo non è poi così probante. E che un calciatore lo capisci quando si allena. Zarate viene a Formello e il giudizio non cambia: è forte. Esplosivo, istintivo, un grande acquisto. Spero non si perda per strada, Roma è un macello».
Carrizo: molto istintivo anche lui?, in area sembra Garrincha.
«Diciamo molto esuberante, ma è uno vero. In Sudamerica non aveva neanche uno straccio di preparatore, è un ragazzo, aspettiamolo, ma su Carrizo metto la mano sul fuoco».
Lazio, Udinese, Catania, Napoli, classifica stranuccia.
«Ma no. Siamo sempre, ancora in partenza. Tra qualche settimana si sistemerà tutto».
La più forte è sempre l’Inter?
«Fuori discussione, sono quattro anni che l’Inter è la più forte. Per perdere il campionato l’Inter dovrebbe impegnarsi a fondo, non esagero».
La Juve è in crisi?
«Ma per favore. Una squadra che perde una partita è una squadra in crisi? La Juve è la Juve».
La Roma?
«Della Roma non parlo. Perché poi scoppiano casini».