Cragnotti: "Tornare alla Lazio è un sogno che si può realizzare... A Lotito si può solo imputare una mancanza di comunicazione: la gente vuole partecipare"
Fonte: noibiancocelesti.net//Radio Manà Manà
«Sogno di tornare nel calcio e riprendermi la Lazio, ma prima devo risolvere i miei problemi personali. La Roma agli americani? Felice per la famiglia Sensi». Queste le parole dell’ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti, intervenuto ai microfoni di Radio Erre Due nel corso della trasmissione “Noi Biancocelesti”. L’ex numero uno laziale ha ringraziato i tifosi per come gli sono ancora legati: «Fa sempre piacere ricevere l’affetto dei sostenitori biancocelesti anche se sono passati tanti anni da quando non sono più il presidente della Lazio, ma evidentemente ho lasciato un segno profondo e ciò mi conforta, mi fa tanto piacere. Ancora oggi quando giro per strada in tanti mi vengono a salutare».
Cragnotti non ha nascosto che gli manca la sua società: «Ho tanta nostalgia della Lazio, ma nessun rimpianto perché ho fatto bene il mio lavoro, anche se potevamo fare ancora meglio. Sono felice di aver lasciato un segno profondo in questa società. L’affetto è veramente grande e mi rende orgoglioso per quanto abbiamo fatto».
Tanti sono i tifosi biancocelesti che gli chiedono di riprendersi la Lazio: «La mia risposta è sempre la stessa, non è che si possa nascondere la verità. Ora devo affrontare dei momenti difficili, sto cercando di risolvere la mia vita e se tutto questo dovesse andare bene allora tutte le strade sono aperte, perché io voglio ricominciare a lavorare in pieno per quelle che sono le mie conoscenze e tornare anche nel mondo del calcio. È un sogno che si può realizzare solo quando avrò risolto i miei problemi».
L’ex numero uno laziale ha dato un giudizio sul mercato invernale di Lotito: «Sono soddisfatto di questa squadra, ma bisognava fare qualcosa per rinforzarla anziché acquistare gente che non serviva e ha creato un frastuono nel gruppo. C’era bisogno di un intervento in profondità. Non c’è stato e le aggregazioni avute non hanno una rilevanza tecnica tale da portare risultati. È inutile aver preso Sculli, non crea alcun valore aggiunto alla squadra e il suo acquisto sta innervosendo Zarate ed altri. Credo comunque in questo gruppo, ci sono alcuni elementi importanti nei vari ruoli. Occorre che il mister lavori sia a livello fisico, dove ho visto un calo, che a livello psicologico perché possa spingere questi giocatori ad un traguardo. Ma per riuscirci, mister e società devono dire a cosa si ambisce, bisogna dare delle mete ai calciatori, non farlo è uno sbaglio di conduzione importante. Questo è un gruppo che può dare risultati, ma serve una spinta sia tecnica che societaria per farlo migliorare. Penso possa centrare l’Europa League, ma non credo nella Champions».
L’ex presidente ha poi dato un consiglio a Lotito: «Credo che quello che ha fatto all’inizio della sua storia da presidente sia stato giusto, l’aver preso in mano le redini della società, messo a posto le cose prima di cominciare a gestire. Io penso però che possa fare qualcosa in più per riavvicinare i tifosi, lo spero. La gioia di andare la domenica allo stadio è soprattutto quella di vederlo pieno di passione». Ai messaggi dei tifosi laziali che non vanno allo stadio per protesta nei confronti di Lotito, ha risposto: «È importante stare vicino alla squadra anche in questo momento, perché la Lazio rimane e le persone vanno via».
Un Cragnotti ancora dispiaciuto per essere uscito dal mondo del calcio: «Non ho messo da parte il rammarico del fatto che la Lazio mi è stata tolta. Ho però anche uno spirito di grande orgoglio perché quello che avevamo fatto e stavamo facendo vedo che oggi viene ripreso da molti. In tanti stanno seguendo dal punto di vista industriale il nostro esempio, perché soltanto l’internazionalizzazione può salvare l’economia dalla sua crisi».
Sembra sempre più probabile l’acquisizione da parte di un gruppo americano del pacchetto azionario della Roma. L’ex patron laziale ne è soddisfatto: «Sono piacevolmente sorpreso per la famiglia Sensi, che ha fatto tanti sacrifici in questi anni. Il fatto di trasferire il comando della loro società ad un gruppo internazionale che possa rendere più forte la squadra, è segno che è stato svolto un buon lavoro dalla società stessa. C’è un interesse effettivo da parte di chi controlla questo business a cedere all’estero dal momento che Roma ha una grande attrattiva per gli investitori internazionali. Sinceramente non conosco queste persone, ma so che sono parte del mondo sportivo e imprenditoriale, e senza dubbio non possono che far bene. Portare il nome di Roma sui mercati internazionali è interesse di tutti, sia dell’Italia che dei mercati stessi, per far si che si crei un caposaldo turistico importante e portare l’esperienza calcistica italiana nel mondo oltre alla bellezza della nostra terra».
Un giudizio poi anche sul calcio italiano: «Credo che in questi dieci anni da quando ho lasciato il calcio ci siano stati tanti cambiamenti. Hanno creato delle norme che hanno portato un cambiamento della gestione del calcio stesso. Quel pensiero che avevamo portato nel 97 quando presentammo i giocatori in bombetta per pubblicizzare l’entrata in borsa, era segno di una svolta epocale. I dirigenti italiani però non si sono rinnovati in quel momento, così la grande crisi economica che sta attraversando il mondo ha creato un handicap tra noi e gli altri, così il nostro calcio ha avuto un livellamento verso il basso. Mi ha fatto piacere vedere che la Juventus sta proseguendo il suo progetto di creare una propria casa calcistica, ciò porterà un incentivo per il cambiamento. Serve uno sviluppo, un progetto che possa legare le tifoserie e la società a traguardi ambiziosi. Il campionato italiano si è’ ridotto di interesse, perché governano sempre le solite squadre e le altre partecipano soltanto al torneo. In questo modo guadagnano d’importanza le competizioni internazionali».
Competizioni alle quali non prende parte la Lazio: «Non partecipandovi intorno alla Lazio è nato un disinteresse sempre maggiore da parte dei tifosi, dovuto anche alla mancanza di programmazione da parte della società».
Infine, tornando al suo passato da presidente, ha ricordato i giorni della cessione di Nesta: «Non è vero che non voleva lasciare la Lazio, era d’accordo ad andarsene come tutti quelli che lo hanno fatto. Sono dei professionisti. Si è sempre discusso sul calciatore bandiera. È una volontà soggettiva, alla fine l’assenso ad una cessione viene dal giocatore, che esprime interesse ad andare e cercare motivazioni in un’altra piazza. Non credo al calciatore bandiera, ma al professionista che crea gruppo e da valore aggiunto. Un esempio è Roberto Mancini che ha quando è arrivato alla Lazio ha creato un gruppo vincente. Che un calciatore ami la società al punto da sacrificarsi è difficile. È successo per Totti che aveva i suoi interessi particolari a rimanere, ma non è stato il caso di Nesta».
Sergio Cragnotti è intervenuto anche ai microfoni di “Lazio Patria Nostra” sulle frequenze di Radio Manà Manà. Lezioni di economia e di stile.
L’ex presidente biancoceleste rimane nell’immaginario collettivo come il presidente che spendeva tanto. Difficilmente si pensa a Cragnotti come colui che comprava Nedved a 8 miliardi e lo rivendeva a 70, oppure Vieri a 25 e lo rivendeva a 90, Veron a 42 e lo rivendeva a 60/70. C’era un progetto dietro. Come mai la società che riusciva a fare questa plusvalenze vere, ha accumulato un grosso debito? Cosa non ha funzionato?
"Questo grande progetto che si voleva portare avanti non è andato a compimento perché è stato interrotto da una brusca situazione economica del gruppo: la Lazio ha subito quello che è successo nel gruppo in cui la Lazio partecipava. Non è stato un problema nato nella Lazio e insoluto nella Lazio. La Lazio ad un certo punto si è trovata senza punti di riferimento. Però se andiamo poi in definitiva ad analizzare la situazione economico-finanziaria di un bilancio che io ho lasciato al 31/12/2002, era la situazione di una Lazio con un patrimonio immobiliare importante, un parco giocatori importante, una situazione calcistica di leader, quindi ritengo che la situazione debitoria in quel momento fosse normalissima. Non capisco poi cosa successe dopo, ovvero la gestione avvenuta sotto il controllo della Banca di Roma, l’azionista di riferimento, avvenuto nei 16 mesi successivi, fondamentali per questa situazione economica della Lazio. Il mio debito fiscale infatti era 40 milioni di euro. La situazione economica finanziaria era quella che era, controllandola nei bilanci. Noi non abbiamo partecipato all’aumento di capitale dei 110/120 milioni [sparì un aumento di capitale di 110 milioni di euro]. È come se io avessi fatto un aumento di capitale portando i 120 milioni e dunque pagando una parte dei miei debiti in definitiva. Se io mi sono venduto la partecipazione attraverso una diluizione della stessa, l’aumento di capitale mi appartiene perché è la mia vendita al mercato di quelle azioni. Se io contabilizzassi quell’entrata di capitale alla situazione debitoria di quel momento, verrebbe una situazione di normalissima gestione, ma con un patrimonio immobiliare importante, con un parco giocatori importante, e con una situazione debitoria zero. Quella situazione era pertinente ad una strategia industriale che si era condotta fino ad allora che aveva portato dei grossi investimenti sia di carattere immobiliare che calcistico. Il punto di riferimento in quel momento è stato che la Banca di Roma ha voluto al primo gennaio 2003 prendere il controllo della Lazio. Quindi il punto di riferimento è passato da Sergio Cragnotti all’istituto bancario. Ed è in quel momento che vanno rintracciate le responsabilità e i perché di quel pensiero industriale che non ha più avuto un grande successo: perché era fatto da uomini improvvisati, che non avevano nessuna mentalità industriale e che non hanno portato nessun valore aggiunto nella conduzione della società".
"Il calcio ha bisogno di grandi mezzi finanziari: per fare un calcio a livello internazionale, competivio, globale come oggi. Un’industria oggi deve competer e alivello della globalizzazione. Deve avere mezzi e una spinta industriale che possa portarla a competere nei mercati internazionali. Il calcio non è un’attività sociale, ma industriale che ci porta a competere e ad avere dei risultati economici e sociali dal punto di vista della socializzazione".
Lei è stato duramente contestato, ma a volte ha anche ammesso di aver sbagliato. Lotito invece non l'ha mai fatto.
"Io credo che al presidente Lotito, a parte la strategia calcistica di questo o quel giocatore, cosa che poi diventa aleatoria e possibilista, gli si può solo imputare la mancanza di comunicazione. Forse non si è reso conto che una società calcistica è una società di comunicazione, ma non solo di attività sportiva. È un mezzo di comunicazione, che deve puntare sui giovani, sulle persone che amano veramente il calcio, su quelli affezionati alla propria società. È il tifoso che ha creato questa idea del giocatore che ama la maglia. Non è la società che ha inventato il concetto di bandiera, ma il tifoso. Il fatto di comunicare, di esternare il problema importante, credo che sia l’elemento cardine di una politica gestionale".
"La gente vuole partecipare e quindi bisogna trovare quel giusto contatto che possa accontentare tutti. Le scelte calcistiche possono essere viste in maniera differente. Tutto è legato ai mezzi finanziari, però credo che quello che è mancato al tifoso sia il rispetto delle proprie emozioni, della propria partecipazione. A parte le varie strumentalizzazioni che nel calcio esistono. Però credo sia importante farsi rispettare, ma dare anche alla gente grandi emozioni che sono quelle che legano il tifoso alla squadra".