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Cecco sventola e vive in Curva Nord!

di Alessandro Zappulla
Fonte: Lalaziosiamonoi-Zappulla/Maurizio Martucci

Lo sguardo attento del cronista gareggia con il cuore del tifoso negli attimi che in ogni domenica anticipano il fischio d’inizio. Lazio-Cagliari come ultimo appello per sperare in un grande futuro. Reja in tribuna e la Lazio sul campo uniti insieme per un patto d’acciaio chiamato Champions. La gente che si affolla in curva nell’ultima domenica di marzo allo stadio Olimpico. Cori, stendardi, sciarpe e bandiere colorate, mentre il volteggio dell’aquila accompagna gli attimi pre-gara. Mille pensieri legati al match di lì a poco protagonista. Lo spettacolo intorno al campo e la grande attesa innescano le emozioni. Per un attimo il tifoso e il giornalista si ritrovano insieme a contemplare lo spettacolo della gente. Il solito sguardo innamorato che dalla tribuna stampa si volta verso l’amata Nord. Un percorso d’amore che attraversa in ogni partita lo spicchio più caldo dello stadio. Sciarpe e bandiere al vento, vecchi e nuovi slogan, uniti dai colori di sempre e scaldati dai cori della gente. Un gemito che percorre l’anima, un sorriso che sale dal cuore, quando tra i bandieroni di Curva scorgo lo sguardo che non ti aspetti. Non è quello di un ragazzo, né quello di una donna, né tanto meno quello di un bambino è Cecco. L’effige di Re Cecconi, l’icona di una Lazio fa, nel fulcro del tifo laziale. Una bella immagine a tinte bianco e celesti che sventola in Curva Nord. Uno spettacolo incredibile che rapisce l’attenzione. Un turbinio di emozioni che non scalfisce solo il cuore del sottoscritto. Sentimenti puri che accendono i cuori di centinaia e centinaia di laziali, come quello di Maurizio Martucci che stamani nella mia casella mail ha recapitato un’ode speciale per Cecco. Eccola a voi riportata fedelmente…

Ieri, guardando la curva, ho detto: “Che bella!” Brividi, una luce abbagliante. Una mano sull’asta, come quando con Pulici difendeva il palo della porta laziale, per poi ripartire in attacco, correndo sulla fascia. I capelli di un biondo accecante. La maglia celeste, colore puro e limpido, di una tonalità quasi innocente. Perfetta. Come lo scudetto sul petto, cucito col marchio di fabbrica, anno 1974. Quel bandierone per Luciano Re Cecconi non è stato solo un lembo di stoffa, ma icona di una vittoria morale, conquistata con tenacia e caparbietà contro i segni del tempo, contro i silenzi dell’oblio. “Uccidere un laziale non è reato”. Una sintesi maledetta, slogan degli anni di piombo che per lunghi 35 anni ha tentato di oscurare il ricordo del Saggio, come lo chiamavano Martini & C nel campo di Tor di Quinto. Colpa il fantasma del fantomatico scherzo nella gioielleria del Fleming, tramandato con troppa superficialità. Perché Cecco, Cecconetzer, lui non scherzava. E’ stato l’unico giocatore italiano (nazionale azzurra) ucciso con un colpo di pistola, rimasto per giunta senza giustizia. Ma oggi, la tesi dello scherzo è stata ribaltata, come riabilitazione dell’immagine pulita e generosa di faccia d’angelo, restituzione alla famiglia di Cecco di quella verità che qualcuno, capziosamente, ha tentato di negargli. “Nel vederla in Curva Nord, mi è uscita una lacrima, quella bandiera è bellissima”, all’Olimpico mi detto ieri Stefano Re Cecconi, il figlio di Luciano. Lui era sulle gradinate, come forse ci sarebbe stato anche suo papà. Mentre sua mamma era a Nerviano, nel paese natale, a guardare la bandiera in diretta tv. Forse avrà pianto anche lei. Perché oltre che bella, quella bandiera è unica, vera, simbolica. E’ il simbolo di un vincolo immortale che unisce la Lazio di oggi a quella di ieri. Legandola alla sua storia, per sempre. Garrisci al vento e sventola fiera, bandiera. Orgogliosa al volo di Olympia. Non scherzo.


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