LE MAGLIE DELLA STORIA - Collo alla cinese e laccetti: la maglia del 1927, quella del rifiuto alla fusione
Fonte: Andrea Francesca-Corso d'Informazione Sportiva de Lalaziosiamonoi.it
“La Lazio è altro. La Lazio non proviene da, la Lazio è. Prima è nata la Lazio, i tifosi sono venuti dopo. Per gli altri c'erano i tifosi e gli è stata data una squadra da tifare”. Poesia dell’universo Lazio, come versi che rimandano a un periodo fondamentale, ripetuti, recitati, come iscritti in un copione immortale, quasi sacro, destinate a riecheggiare nell’eternità per tutti i laziali che si susseguiranno di generazione in generazione. L’anno è il 1927 e - come riporta il Museodellemaglie.it - un periodo di intensa crisi economica induce a un processo di ristrutturazione del calcio nazionale, che porta numerose piccole società ad accopparsi per combattere lo strapotere dei club più prestigiosi. Rientra in questa ottica la fusione delle tre piccole società romane Alba, Roman e Fortitudo Pro Roma destinate per volere del Partito Fascista e per mano del gerarca abruzzese Italo Foschi a costituire l’Associazione Sportiva Roma. In questa congregazione doveva essere inglobata anche la Lazio che a differenza delle altre aveva uno stadio in cui giocare, la Rondinella, indispensabile per poter disputare il campionato. Ma appunto la Lazio era altro. Da lì l’opposizione di un personaggio illustre del periodo, il generale Giorgio Vaccaro che si è conquistato un posto nell’Olimpo biancoceleste. Uno dei motivi che spinsero il generale Vaccaro al grande rifiuto, oltre al nome fu la questione della maglia. Quella maglia celeste che era stata sposata da quei giovani ragazzi capeggiati da Bigiarelli che ne avevano fatto un simbolo, un’idea e che rischiava seriamente di veder compromessa la sua breve esistenza. La volontà di Foschi infatti era che i colori della neonata fusione fossero il giallo e il rosso. La casacca che valse una vera e propria battaglia istituzionale presentava il solito celeste con i bordi della maniche bianchi. Caratteristico è il collo alla cinese impreziosito dai laccetti che servivano per chiuderlo eventualmente. Sulla sinistra il simbolo, in cui il compare il fascio littorio, cucito a mano, così come imposto dal regime. Il celeste, appunto di olimpica memoria, carattere imprescindibile di quello che nel 1921 era stato definito Ente Morale, dipinto su un pezzo di stoffa, che non si è piegato a una logica di regime, quasi a racchiudere un mondo che si sentiva qualcosa di diverso, impossibile da imprigionare in un agglomerato studiato a tavolino. Quella maglia porta con sé l’immagine del suo generale, colui che ha difeso una realtà non assecondando la volontà di renderla parte di qualcos'altro. Geniale fu la mossa di Vaccaro di farsi nominare Vicepresidente subito dopo l’arrivo della lettera di convocazione nella sede della Lazio ad opera di Foschi. Così facendo Foschi avrebbe avuto vita dura a trattare con una persona che aveva un ruolo istituzionale e che non fosse un semplice sportivo, contro il quale avrebbe prevalso facilmente. In più risultò molto astuto nella convinzione che sarebbe stato un bene per la città di Roma avere due squadre che si fronteggiassero per la sana rivalità sportiva. Con questo colpo riuscì a vincere la sua battaglia e la Lazio non scese a compromessi potendo il volo dell’aquila protrarsi per ancora un secolo e oltre.