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L'ANGOLO TATTICO di Lazio - Cluj - Luis Alberto e Adekanye: ecco cos'è cambiato

di Francesco Mattogno

Forse il segreto era proprio questo: non crederci più. Almeno a parole. Così come nell'undici titolare, messo insieme a fatica da Inzaghi tra infortuni e scelte conservative in ottica campionato. È bastato ciò per non prendere gol in Europa dopo 14 partite, non subire l'ennesima rimonta-beffa e rimandare l'eliminazione all'ultima contro il Rennes. Diciamolo così, non crediamoci più. Perché è in questo modo che la Lazio ha sorpreso un Cluj venuto all'Olimpico a fare catenaccio, e cosa altrimenti. Il 4-3-3 tanto decantato da Petrescu - persino nelle distinte ufficiali -, non trova riscontro nella realtà dei fatti. La difesa dei romeni è davvero a 5, guai a paragonarla a quella di stampo biancoceleste. Camora-Burca-Boli-Cestor e Peteleu, sulla carta ala offensiva del tridente, sul rettangolo verde esterno destro con la licenza più di difendere che di uccidere. James Bond de noantri. Bordeianu, Djokovic e Culio disegnano la linea di centrocampo dietro a Omrani e Paun, invisibile coppia d'attacco.

LE MOSSE DI INZAGHI - Risponde la Lazio, lo fa con 7/11 diversi rispetto alla trasferta di Reggio Emilia. Lo fa confermando Acerbi sul centrosinistra della difesa, un vero fattore in fase di spinta. Non a caso nel primo tempo il duetto con Jony funziona bene. L'ex Malaga, servito spesso dal 33 a supporto, fa vedere qualche spunto interessante e praticamente si gioca a una corsia sola. La fascia destra presidiata da Lazzari non è mai chiamata in causa fino all'ultima mezzora di sofferenza, colpa anche di un Bastos in marcatura stretta su Omrani - a volte anche fin troppo stretta, Inzaghi lo richiama - e stranamente poco ispirato palla al piede. Cataldi detta i tempi, Parolo li cancella (agli avversari). Ma la vera differenza risiede negli unici due (oltre a Proto) alla prima da titolari in questa Europa League. Il primo lo conosciamo, veste la maglia numero 10 e ha sempre con sé una bacchetta. Il secondo lo impareremo a conoscere, ci basti sapere che viene dal vivaio di Barcellona e Liverpool. Qualcosa vorrà pur dire. Fatto sta che a questa Lazio servivano genio e atteggiamento, qualità intrinseche rispettivamente di Luis Alberto e Adekanye.

LA DIFFERENZA - Il mago dà via all'azione del gol, Bobby confeziona l'assist. Ce n'era bisogno. Qualità e voglia, quanto sono mancate in questa Europa League. Per Luis Alberto è difficile trovare altri aggettivi: si spegne lui, giustificabilmente stanco dopo la prima ora di gioco, si spegne la Lazio. Mentre Adekanye è una vera sorpresa. Deve farsi vedere quindi corre, lotta su ogni pallone. Si fa trovare pronto, sbaglia ma recupera. Torna indietro, accorcia e tiene unita la squadra. È facile notare quanto Bobby sia acerbo, lo dimostrano i rimproveri del mister quando in più di un'occasione finisce col pestare i piedi a Correa. Non è concreto in area di rigore e stecca qualche appoggio, è vero, ma i passi in avanti rispetto al ritiro di Auronzo (dove lo si è potuto visionare meglio e con continuità) sono evidenti. La Lazio in versione europea avrebbe avuto bisogno di questo spirito, comunque. Quando Inzaghi lo toglie e i minuti sulle gambe dei biancocelesti iniziano a pesare, i reparti si allungano. La squadra si sfilaccia e il Cluj prende coraggio, attaccando come può. Lanci lunghi, traversoni, tiri dalla distanza. Petrescu inserisce Deac e Traorè per spostare il baricentro in avanti, ma non basta. Proto e compagni reggono l'urto, pur senza meritarlo particolarmente. Troppi gli errori sotto porta, tante le dormite nel finale. È la solita Lazio europea, che va in vantaggio e questa volta, però, esce coi tre punti in tasca. Il Cluj è stato colto di sopresa. Forse la differenza l'ha fatta la magia del 10, il carattere di un classe '99. Forse il segreto era non crederci più.

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Pubblicato il 29-11-2019 alle 10.15


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