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L'ANGOLO TATTICO di Celtic - Lazio - L'enorme contraddizione degli Inzaghi's boys

di Francesco Mattogno

Atmosfera unica, delusione doppia. La sconfitta del Celtic Park è bugiarda, menzogna, un falso storico. Ne risente la classifica, ora più che mai scivolosa, così come l'autostima di una Lazio ingenua e ancora una volta ferma a un passo dalla definitiva maturazione. Un passo che a questo punto potrebbe essere più lungo della gamba. E pensare che l'equazione di Massimo Marianella, noto telecronista Sky ed esperto numero uno di calcio britannico, era quella giusta: “I biancocelesti hanno accettato di mettere la partita sul piano fisico, e molto spesso sono loro a vincere”, sentenzia verso la mezzora di partita. Aveva ragione. La Lazio è una delle squadre più fisiche della Serie A, quella che maggiormente si avvicina - pur con il suo italianissimo 3-5-2 - a uno stile di calcio British. Possanza, agonismo, corsa. È un marchio di fabbrica degli Inzaghi's boys, esaltati in tal senso dal match in terra scozzese. Le scelte di formazione aiutano. Bastos, Vavro, Acerbi, Leiva, Milinkovic, Parolo, Caicedo. Sono muscoli in mezzo al campo, armi per ripagare il Celtic della sua stessa moneta. Quel che ne esce fuori è più una partita di rugby che di Europa League.

DENSITÀ E RIPARTENZA - La squadra di Lennon, che per l'occasione maschera il suo 4-2-3-1 in un più compatto 4-3-3, pressa altissima e attacca a testa bassa cercando di sfondare le linee biancocelesti. E finendo spesso per rimbalzarvici sopra, talvolta rendendosi pericolosa in ribattuta (vedasi palo di Christie al 18'), talvolta rischiando e poi subendo il ribaltamento di fronte pianificato da Inzaghi alla vigilia. L'obiettivo, raggiunto, era quello di raccogliere il guanto di sfida. Accettare la lotta in mezzo al campo, intasando con grande densità le vie centrali in modo da apparecchiare le fasce per le ripartenze di Lazzari e Jony, coadiuvati da Correa e Caicedo, sempre prezioso nel gioco di sponda. Se da una parte lo spagnolo non aiuta (tanti, troppi errori tecnici da parte di un ragazzo che fa della tecnica il suo cavallo di battaglia: sente la pressione), dall'altra Lazzari adempie al suo compito e zittisce uno stadio intero. Salvo 1500 voci.

SOLITA TRAMA - Lo 0-1 dovrebbe favorire l'apertura di varchi tra le fila scozzesi e dunque spianare la strada alla vittoria della Lazio. Di nuovo, però, il piano non aveva fatto i conti con l'imprecisione dei biancocelesti. L'1-1 non è frutto solo della dura legge del gol (il Tucu si era divorato il 2-0 qualche istante prima), ma anche di una grossa disattenzione del centrocampo. L'azione dei Celts è prolungata e finisce col prendere per “stanchezza” Leiva e Milinkovic. Parolo è attento in fase di marcatura, ma il brasiliano e Sergej non scalano bene sul proprio uomo generando quella voragine tra i reparti (anche Vavro non accorcia) su cui si avventa Christie. Pareggio subito a difesa schierata, l'incubo di ogni allenatore. A quel punto tutto è possibile: la Lazio spreca ancora, il Celtic no. Sconfitta immeritata, ma meritata. Una prestazione per ampi tratti maiuscola si è tradotta in zero punti e tanti rimpianti. Questa squadra al momento è incoerente con sé stessa, un'enorme contraddizione. E in Europa ora il rischio è che sia troppo tardi per rimediare.

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