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Esclusiva Lazio | Vecino: "Baroni ci ha cambiati. Ero quasi al Galatasaray. Futuro: vi dico che..."

di Lalaziosiamonoi Redazione
Fonte: Alessandro Zappulla - Lalaziosiamonoi.it

La forza delle origini scolpita nel carattere. La salita dura per emergere dalla periferia di San Jacinto in Uruguay. Un piccolo paese di appena 4 mila anime a 50 km da Montevideo. Un contesto ristretto dove non conoscersi era impossibile. Uno per tutti e tutti per uno, lo spirito forte e di gruppo che oggi marchia a fuoco l’animo guerriero di Matias Vecino. Origini lontane, ma anche vicine. La culla di Matias Vecino è legata a filo doppio alla nostra terra. Uruguagio, dal sangue italico. I suoi avi partirono da Torella del Sannio (Campobasso) per cercare fortuna in Uruguay, eppure quando era ragazzo Matias Vecino veniva conosciuto come uno dei palermitanos. Già, perché giocava nel Central Español, proprio la squadra del barrio Palermo. Tutto nasce da una bottega di immigrati siciliani che chiamarono la loro attività “Magazzino di cibo della nuova città di Palermo”. Che coraggio e che caparbia, quella di Matias che nel cuore porta gli insegnamenti del papà Mario, perso precocemente e la dedizione allo studio di mamma Doris. Un predestinato, uno che non sbaglia un colpo, uno che fa dell’applicazione una mania e della lavoro una fissazione. Uno che ha fatto innamorare i tifosi di ogni squadra in cui ha giocato e che oggi ha conquistato del tutto il popolo laziale.

Iniziamo subito, come stai? Hai sempre grande energia, così come Pedro…

“Passa tutto dalla testa, quando uno sta bene mentalmente, si diverte e si trova bene nel contesto dove sta, i risultati arrivano. Poi per stare a certi livelli a una certa età devi essere un professionista 24 ore su 24. Il calcio di oggi è tosto, ha tanto ritmo e se non stai bene fisicamente e non recuperi nel modo giusto, fai fatica”.

Ti chiamano ‘Vecio’, ma non perché sei vecchio…

“No no, me l’hanno dato a Empoli quel soprannome, è solamente per abbreviare il mio cognome. Poi a quei tempi avevo 23/24 anni, quindi non potevo essere vecchio (ride, ndr)”.

Tu hai iniziato a giocare in Uruguay, con tuo papà che ti ha spinto molto per continuare. Com’è partito tutto?

“Io ho iniziato a giocare con la spinta di mio padre che è stato calciatore, ha fatto anche qualche presenza nel Liverpool in Uruguay. Lui è rimasto solamente nella nostra zona, prendendo parte a qualche torneo amatoriale. È stato anche allenatore quando ero piccolo. È partito tutto da lì, nel mio paese ci conosciamo tutti, siamo forse 4/5mila persone. Io ho giocato in una scuola calcio dai 6 ai 12 anni, poi mi sono spostato in una squadra che si chiama Central Español dove ho fatto tutto il settore giovanile dai 13 ai 18. È un club piccolo, che ha vinto qualche volte il campionato uruguaiano tanti anni fa. Ora si trova in una situazione difficile perché è in Serie C”.

Però hai origini anche italiane: papà Mario ti spingeva a giocare, mentre mamma Doris voleva che studiassi…

“Sì, è vero. Lei era insegnante di inglese, aveva questa cultura di fare tutto sempre al massimo, e non solo nello studio. Voleva che fossi sempre costante. Poi è arrivato un momento, quando avevo 17 anni, in cui voleva vedere come andava con il calcio, sennò avrei dovuto provare un’altra cosa (ride, ndr). La realtà era questa: se non c’era un futuro nel calcio, e la mia società in quel momento navigava tra Serie B e Serie A, bisognava provare altro. Proprio in quella stagione, però, ho fatto il salto definitivo dalla Primavera alla prima squadra”.

Ti sei legato a diversi club in Italia e ti hanno voluto tutti tanto bene. Ma la Lazio cosa ti sta dando?

“Davvero tanto. CI siamo incontrati in un momento in cui sono stato fuori un anno per un problema al ginocchio e giocavo pochissimo. È stato veramente difficile. Sarri mi ha voluto qui, dall’inizio è stato subito molto bello. L’anno scorso magari si è notato di più perché ho segnato tanto, ma anche la mia prima stagione qui è stata straordinaria. Penso di aver dimostrato di avere una certa costanza e regolarità, sono felice perché era quello che volevo. Volevo proprio far vedere di essere un calciatore ancora valido e affidabile”.

A proposito di gol, tu ne hai segnato uno che ha condannato la Lazio fuori dalla Champions League (20 maggio 2018, Lazio - Inter 2-3, ndr). Quanto te l’hanno fatto pagare? Sicuramente te l’hanno detto più di una volta…

“Sì assolutamente, soprattutto nei miei primi giorni qui. Era giusto così (ride, ndr). Spero piano piano di ripagare tutti, già il primo anno ci siamo qualificati in Champions. Alla fine si vedrà”.

Tu dividi il centrocampo con Guendouzi e Rovella che sono migliorati tantissimo anche sotto la tua ala protettiva. Quanto sono cresciuti?

“Davvero tanto. Matteo (Guendouzi, ndr) aveva già diversa esperienza visto che ha girato un po’ di squadre importanti come Marsiglia e Arsenal. È stato più volte anche in Nazionale. Credo che Nico (Rovella, ndr) invece sia quello che è cresciuto di più rispetto al giocatore che era prima di arrivare alla Lazio. Sono entrambi importanti per noi, il presente e anche il futuro di questo club. Nel mio ruolo cerco di aiutarli sia quando sono in campo con loro che fuori. Se gli posso dare qualche consiglio o noto qualcosa, sono sempre a disposizione”.

Magari a Rovella hai detto anche due parole su Spalletti, visto che lo conosci bene, per la Nazionale…

“Sì, sì, due-tre cose gliel’ho dette perché so come ragiona il mister Spalletti sui centrocampisti. Lui chiede sempre di girare molto la testa, di guardare diverse volte prima di giocare la palla. È molto attento a queste cose. Sicuramente a Rovella gli avrà chiesto di fare così”.

L’altro centrocampista, la novità, è Dele-Bashiru. Può diventare un giocatore importante anche da mediano?

“In quel ruolo non lo so, poi alla fine ognuno ha le sue caratteristiche, magari con il tempo si può costruire anche lì. Per me è uno che quando va negli spazi è devastante, ha una corsa e una forza che non ha nessuno in squadra. Il meglio di sé lo dà dalla trequarti in avanti, quando ha spazio davanti sia palla al piede che senza palla perché ha forza e gamba. Poi ci potrà arrivare a giocare davanti la difesa, lo dico per esperienza mia. Io in Uruguay, al Central Español, facevo la seconda punta o a volte anche l’attaccante (ride, ndr), poi ho finito per fare quasi il difensore centrale. Per questo credo che Dele si può adattare perfettamente. A oggi però lo vedo meglio quando attacca lo spazio e ha campo per correre”.

Maurizio Sarri di Vecino diceva: “È un assegno circolare, prima o poi lo banchi”. Quanto ti ha dato lui come allenatore?

“Tanto, soprattutto a Empoli. Mi ha cambiato la carriera. Io non avevo ancora trovato continuità, poi lui mi ha disegnato un ruolo e insegnato tante cose a livello tattico. È stato il primo anno in cui ho fatto 40 partite di fila e tutte dal primo minuto. Da lì sono tornato alla Fiorentina già pronto per fare il titolare. Sarri mi ha voluto diverse volte a Napoli, poi ci siamo ritrovati qui alla Lazio e mi ha dato la possibilità di rivalutarmi come giocatore affidabile”.

Questa è una Lazio che arriva da Sarri e da Tudor, ma è soprattutto di Marco Baroni: quanto è cambiata in questo anno e mezzo?

“È cambiato parecchio, parliamo di allenatori e persone diverse. Ai tempi di oggi comunque un calciatore deve sapersi adattare a diverse situazioni e richieste. Ci vuole sempre un po’ di tempo per cambiare metodologie e allenamenti, ma credo che lo stiamo facendo molto bene. Mister Baroni è una persona semplice, molto diretta con i suoi concetti, che si fida molto dei calciatori e li ascolta. Noi siamo contenti, credo che da fuori si veda che c’è un bell’ambiente di grande unione, dove tutti ci sentiamo importanti. Giocando ogni tre giorni questo è fondamentale”.

Il merito più grande per questo periodo sembra proprio essere di Marco Baroni. Che allenatore è? Qual è la cosa più importante che ha dato a questa Lazio, sia tatticamente che fuori dal campo?

“A livello di campo vuole una squadra più verticale rispetto all’idea di Sarri. Baroni vuole attaccare subito, mettere gli esterni nell’uno contro uno e creare difficoltà agli avversari. E noi abbiamo giocatori che fanno la differenza sulle fasce. Poi è un allenatore che vuole arrivare con tanta gente in attacco, non vuole coprirsi per paura di prendere una ripartenza. Dobbiamo sempre aggredire ed essere una squadra che propone e trasmette qualcosa alla gente. Credo che per il momento ci stiamo riuscendo. Chi vede da fuori questa Lazio si diverte, al di là del risultato, fino all’ultimo è una squadra che cerca sempre la vittoria, nonostante gli errori”.

Tu sei molto importante per questa squadra, ma c’è stato un momento in cui hai rischiato di andare via per giocare in Turchia. Cos’è successo?

“Il grande problema è che ho un amico, Fernando Muslera, a cui manco tanto. E visto che non ci vediamo più in Nazionale prova sempre a portarmi là in Turchia (ride, ndr.). È stato un periodo dell’anno scorso, il Galatasaray aveva fatto un’offerta alla Lazio e sembrava potesse concretizzarsi, ma poi alla fine sono rimasto qui. Era anche l’ultimo giorno di mercato, era complicato. È andata così come doveva andare. Con Muslera ci vediamo sempre in Uruguay quando ci sono le vacanze (ride, ndr)”.

Questa è anche la Lazio di Lotito e di Fabiani, una squadra che ha detto addio a tanti giocatori importanti come Immobile, Luis Alberto, Felipe Anderson. Ora il ‘core business’, oltre te e Pedro, sono i giovani, la forza fisica, atletica. A cosa può ambiare questa nuova gestione?

“Quello lo dirà il tempo. Siamo solo all’inizio di un percorso nuovo, in cui sono arrivati tanti giocatori e un allenatore diverso. Dobbiamo goderci il momento, continuare a pedalare come stiamo facendo e pensare partita dopo partita. Non c’è tempo per fare altro. Ora è andata via quasi metà della squadra con le nazionali, è normale che avremo meno giorni per preparare la prossima gara. Dobbiamo pensarla così, è un concetto che ci trasmette anche il mister e penso che sta portando dei buoni risultati”.

Fisicamente come sta la squadra? A Monza eravate leggermente più affaticati del solito dopo una lunga serie di partite

“È normale, era la settima partita in ventuno giorni circa. Avevamo giocato lunedì contro il Cagliari, poi giovedì contro il Porto, che è stata una gara molto intensa, e domenica alle 18 a Monza. È normale concedere più del solito l’ultima mezz’ora perché abbiamo trovato anche una squadra che ha avuto otto giorni per prepararsi. Se avessimo fatto il 2-0 l’avremmo potuta sicuramente gestire in modo diverso. Ci sta soffrire, l’importante è rimanere sempre compatti e combattere fino all’ultimo come abbiamo fatto, al di là della stanchezza. Poi credo che loro non abbiano avuto molte occasioni, eccetto per una di testa che ha parato Ivan (Provedel, ndr). Abbiamo concesso un po’ di campo, ma non hanno creato tantissimo”.

La Lazio a metà novembre è prima nella maxi-classifica di Europa League e seconda in campionato. Secondo te questa squadra ha più un profilo europeo o in prospettiva può andare più a fondo in Serie A?

“Per come stanno andando adesso le cose, la squadra ha dimostrato che sa giocare sia in campionato che nelle competizioni europee. È stato bravo il mister a ruotare diversi giocatori, anche perché non è facile scendere in campo ogni tre giorni. Non c’è nessuno che riesca a fare tutte le partite, è impossibile. Noi dobbiamo pensare a obiettivi brevi, al filotto di 6/7 gare che avremo con scontri importanti. Poi a fine anno vedremo dove siamo arrivati”.

Questa è una Lazio anche un po’ ‘cattiva’? Quali sono i tre giocatori più aggressivi in rosa? Uno per esempio è Guendouzi, ma anche Vecino…

“Il più cattivo per me è Gigot. Il primo allenamento ha fatto due-tre entrate e Pedro gli ha dovuto dire di stare più calmo. Lui è aggressivo, mi piace, è tosto. Anche Gila quando va in scivolata. Lo stesso vale per Marusic, in allenamento è pulito, non fa interventi brutti, ma quando la palla è alta è dura andare a saltare con lui. È un muro. Dal mio punto di vista questi sono i tre che vorrei sempre evitare (ride, ndr)”.

Cosa farai ‘da grande’? Stai pensando a diventare allenatore?

“Sì, è una cosa a cui penso. Mi piace il calcio, guardo tante partite, ma la vita che fanno gli allenatori non è semplice. Li vedo troppo stressati, soffrono, non so se è quello che vorrei. Sicuramente nel calcio farò qualcosa perché è quello a cui ho dedicato tutta la mia vita. Non so se farò proprio l’allenatore, magari tra qualche anno cambio idea”.

Come Pedro, anche tu sei in scadenza di contratto. Ci pensi a rimanere ancora alla Lazio?

“Sinceramente ancora no. In questo momento della mia carriera cerco di godermi il momento perché non so ancora quanti anni giocherò. Lo stesso vale per Pedro. Noi stiamo bene qui, ci stiamo divertendo, ma il calcio cambia molto velocemente, soprattutto per i risultati. Quello che pensiamo oggi tra qualche mese potrebbe essere totalmente diverso. Io mi sento bene da quando sono arrivato qui alla Lazio, per quello che sarà l’anno prossimo vedremo. Ancora non lo so”.

Un saluto finale ai tifosi della Lazio, magari con un augurio…

“Mando un grande saluto a tutti i tifosi biancocelesti. Quello che vi posso assicurare è che la squadra sta bene, che ognuno di noi sta dando il massimo per creare qualcosa di positivo in questa stagione e soprattutto per i prossimi anni. Quando siamo tutti uniti e insieme diventiamo molto più forti, si vede ogni volta che giochiamo in casa. Stiamo ottenendo ottimi risultati ed è anche merito dei tifosi, della loro spinta”.

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Pubblicato il 14/11


Lazio, l'intervista esclusiva a Vecino
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