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Scaloni scelto dai tifosi il migliore in campo nel derby: "Una bella sorpresa, adesso dobbiamo puntare in alto... Il futuro? Mi vedo ancora giocatore, poi vorrei allenare... Magari la Lazio"

di Marco Ercole
Fonte: Marco Ercole - lalaziosiamonoi.it

ROMA – Nella partita contro la Fiorentina lo avevamo paragonato a Sean Connery per la sua capacità di migliorare continuamente con il tempo, poi la partita successiva, al suo primo derby da titolare, Lionel Scaloni ha confermato di vivere un momento di forma eccezionale giocando una gara praticamente perfetta. Il terzino destro argentino ha messo in campo grinta, carisma, senso della posizione, esperienza. In buona sostanza una prova di qualità e quantità che gli ha consentito prima di entrare nelle nomination del sondaggio proposto sulla pagina ufficiale facebook della Società Sportiva Lazio su chi fosse stato il migliore in campo nel derby, e poi addirittura di vincere, battendo la concorrenza di Matuzalem, Garrido e Gonzalez. In qualità di vincitore di questa sfida particolare, Scaloni si è sottoposto molto volentieri alle domande che i tifosi biancocelesti gli hanno posto sempre attraverso il social network, rispondendo attraverso i microfoni di Lazio Style Radio nella rubrica “Face to face”: «Per me è una sorpresa vincere questo sondaggio, soprattutto perché non sono stato un giocatore determinante come Mauri o Hernanes. Sono contento per la prestazione perché arrivata dopo tanto tempo senza giocare e perché è stato nel derby. Una partita dura, soprattutto perché anche se erano in dieci hanno una forma di giocare diversa da tutti gli altri, dovevamo stare concentrati soprattutto in difesa. Abbiamo fatto un buon lavoro e alla fine abbiamo vinto».

Cosa hai pensato quando hai visto Hernanes sbagliare quel contropiede che poteva portarvi sul 3 a 1? «Volevo farmi 30 metri di corsa per andare da lui e dargli una svegliata. Per noi difensori non è semplice quando stiamo difendendo e vediamo che c’era una palla facile del 3 a 1. Però non potevamo dirgli niente perché era un po’ stanco».

Lo scatto di 50 metri però lo hai fatto quando c’è stato l’episodio del calcio di rigore. «Lo vedevo un po’ con i dubbi l’arbitro. È un arbitro che fischia e dopo si prende un attimo per decidere, lo avevo visto in altre partite. Lo stesso è successo con me per il mio primo giallo quando io praticamente non ho fatto niente, lui si è avvicinato e ha chiesto chi avesse fatto fallo perché non aveva visto niente. In quel momento ho pensato che non ci fischiava neanche rigore. Tutte le squadre fanno così, solo noi non lo facciamo, era più che altro una forma di pressione. È stata una corsa di 50 metri fatta abbastanza veloce veramente».

Cosa ne pensi di questa regola dell’espulsione del portiere? «Per il portiere non è una cosa bella, soprattutto perché hanno poche possibilità di fermarti su una palla così. Penso che basterebbe rigore e giallo, però la regola è chiara. Se la cambiano, lo facciano a partire da adesso e va bene».

Avete parlato tra di voi di questa posizione in classifica? «Ieri abbiamo parlato della partita e di quello che viene adesso. Siamo coscienti di essere in una posizione di classifica privilegiata e dobbiamo guardare quelli avanti, anche perché affronti diversamente le partite così facendo. Siamo una squadra forte e giocando come domenica non siamo  inferiori a nessuno. Possiamo fare anche meglio».

Pensi che quella nel derby sia stata la tua miglior prestazione in carriera? «No, è stata una bella prestazione ma sicuramente ho giocato altre partite, anche con più responsabilità a livello offensivo quando ero più giovane. Sicuramente ho fatto partite migliori di queste».

Quanto è difficile trovare il ritmo partita? «Sicuramente è molto difficile. Mi alleno sempre, ho saltato praticamente solo una partita con l’Atalanta. Però quando devi giocare il ritmo è diverso, puoi fare 30-40 minuti al massimo poi lo risenti, soprattutto alla mia età. Quando hai vent’anni non c’è problema, sei giovane, hai gamba, adesso invece bisogna giocare più spesso per trovare il ritmo partita che giustamente non ho».

Quanto pesa questa espulsione che non ti permetterà di giocare con il Bologna? «Pesa molto non giocare, perché sarebbe stata la terza partita consecutiva e per me era importante soprattutto a livello di fiducia. Però c’è stata l’espulsione, il secondo giallo ci può anche stare però non posso dire niente».

Si dice che sia la tua ultima stagione alla Lazio. «A livello di contratto, io ho detto che è il mio ultimo derby perché sono in scadenza. Per quello che sta succedendo sarà la mia ultima stagione e non credo che cambi qualcosa. Sto guardando di continuare la mia carriera da un’altra parte, devo pensare anche alla mia famiglia. Io sto bene qua, mi piacerebbe rimanere ma non decido io».

Domenica una scena bella è stata anche quella di vedere la tua famiglia in campo. «Prima devo dire che erano in campo ed è molto strano che un bimbo di tre mesi sia andato al campo con la mia compagna e con mio papà. Siamo gente di calcio, ho detto “portiamo anche il bimbo” e ci ha portato fortuna. Alla prima partita, un derby poi, abbiamo vinto. Alla fine li cercavo, poi però siamo entrati di nuovo in campo e abbiamo festeggiato. Un momento importantissimo per me, avevo tante cose dentro in questo ultimo mese e sono stato contentissimo».

C’è qualche aneddoto da raccontare del pre e del post derby. «Nel pre derby non molto. Mi piace stare concentrato, sono un professionista e mi piace non cambiare sia che si giochi contro la Roma che contro il Catania. È una partita di calcio e la tua responsabilità è sempre di fare il massimo, al di là dei tifosi che ti chiedono di dare qualcosa di più. Noi eravamo molto concentrati, ma senza quella pressione perché non è buono pensare così. Dopo la partita invece è arrivato Diakité e mi ha detto di andare sotto la curva a saltare. Abbiamo iniziato e a un certo punto non avevo più polpacci. Lui aveva giocato dieci minuti e ce la faceva ma io non ce la facevo più. Ho festeggiato una cosa bella con i ragazzi e sono proprio contento».

Cosa ne pensi dell’atteggiamento dei tifosi nei vostri confronti? «Non possiamo dire niente. Con noi si stanno comportando veramente bene. Tifano sempre, una tifoseria molto calda, ringraziamo di questo, per noi è molto importante. Quando si gioca all’Olimpico più vengono e meglio è perché in uno stadio così grosso anche se ci sono 20.000 persone sembra vuoto».

Ti piacerebbe a fine carriera continuare a lavorare nella Lazio? «Questa è una cosa che la società mi ha detto, mi ha fatto capire già da tempo. Gli piacerebbe che io facessi qualcosa dentro la società, ma io in testa ho ancora il calcio giocato. Sento voglia di allenarmi, mi sento bene. Quando finisco mi troverò un posto di lavoro in una società, sono fatto per il calcio. Penso che non so fare veramente altra cosa che giocare a calcio. Ho fatto il primo corso da allenatore, mi manca uno. Qua in Italia per fare il secondo devo smettere di giocare a differenza della Spagna. L’idea è quella, non so se riuscirò a fare l’allenatore di una squadra grande. Mi piace molto anche insegnare ai ragazzi quello che ho avuto in 20 anni di calcio».

Brocchi ha detto che non farà l’allenatore perché odia i ritiri, tu cosa ne pensi? «Adesso il calcio sta cambiando, ogni anno sta migliorando in questo caso. Quando si gioca in casa, si può venire qua la mattina stessa, fare colazione, pranzo e poi si va a giocare. Il professionista non penso che vada fuori la sera prima della partita, anche se ci può essere l’eccezione. Anni fa era diverso. Quando ero giovane e single, andavamo in ritiro il giovedì sera per la partita della domenica, perché l’allenatore diceva che per i single era più rischioso».

Si dice che tu sia un grandissimo cuoco di asado, quando inviti i tifosi ad assaggiarlo? «Io aspetto solo che danno l’ok a loro per entrare. Il posto c’è, non più di cento però eh. Tra asado e coda alla vaccinara per noi non c’è paragone. Ieri insieme a mio padre abbiamo trovato una carne buonissima ma il taglio è diverso qua. Se non fai lo stesso taglio che facciamo noi alla fine resta diversa, però qua la carne non è male comunque».

C’è qualche analogia con il tuo super Deportivo? «C’è una differenza soprattutto a livello di classifica. Quando abbiamo vinto lo scudetto con il Depor eravamo sempre primi in classifica e guardavamo gli altri sotto. Ci eravamo messi in testa di vincere, per non farci prendere. Noi adesso dobbiamo vincere per raggiungere quelli davanti. Al Depor di quell’epoca avevamo venti giocatori di un livello spettacolare. Non abbiamo mai giocato a livello infrasettimanale e ha contato tanto, perché Real Madrid e Barcellona erano più stanchi quando ci affrontavano. Noi abbiamo avuto tanti infortuni invece in questa stagione e penso che senza di questi potevamo fare meglio».

Che ricordi hai della tua esperienza al Deportivo? «Quando parlo di quella squadra, al di là di aver vinto 7-8 titoli, dico che potevamo vincere di più. Due semifinali di Champions, due quarti, due volte secondi e due terzi nella Liga. Il problema è che Real e Barça riuscivano a fare più di noi nelle ultime partite. Sono tanti i ricordi, la partita contro il Milan, abbiamo vinto a San Siro, al Delle Alpi, ad Higbury. Con il Deportivo sapevamo che la squadra avversaria ci rispettava. È quello che è successo per 7-8 anni».

Perché secondo te in Italia si guarda alla Lazio sempre come se fosse una sorpresa? «Questa è una questione del paese, di cultura e storia. Con la Roma in dieci magari 3-4 anni fa questa partita non si vinceva. In questo siamo cambiati tanto. La Lazio sta facendo un campionato straordinario, ma non è strano, noi sappiamo di essere una grande squadra. È vero che ci sono 6-7 squadre in Italia che possono lottare per i primi posti, è vero che se ti addormenti un po’ puoi scivolare al quinto posto, ma se fai bene puoi trovarti al primo. Non mi piace pensare a chi sia favorito, noi adesso siamo lì e dobbiamo giocare ogni partita come se fosse l’ultima. E così faremo sicuramente bene».

Da quando sei alla Lazio hai avuto come allenatori Rossi, Ballardini e Reja, quali sono le similutidini e le differenze? «Similitudini è facile. Tutti e tre lavorano molto sulla tattica. Il calcio italiano ti fa imparare questo anche se giochi contro una “piccola”, tu fai una tattica considerando gli avversari. Delio Rossi, un allenatore molto intelligente a preparare la partita, sempre allo stesso modo, ogni giocatore sapeva alla perfezione cosa doveva fare. Con Ballardini abbiamo avuto poco tempo, una grande persona, come allenatore posso dire che lavorava molto sulla tattica. Abbiamo sofferto tanto, era un momento di transizione. Poi è arrivato Reja, ha messo un’altra mentalità, un modulo che in quel momento per i giocatori che avevamo era perfetto, un 3-5-2 che ci ha permesso di fare sei mesi spettacolari. Ha trovato la soluzione giusta per ogni stagione. L’anno scorso ha cambiato modulo perché aveva altri giocatori».

Quanto conta per te la Lazio? «In tutte le squadre in cui giocato mi sono sempre portato dietro qualcosa. Da Maiorca mi sono portato la mia compagna [ride]. A Roma è nato mio figlio e ho preso il mio cane. La Lazio è come una famiglia, è difficile fare capire ai miei amici far capire questa cosa. La Lazio sta migliorando a passo grossissimo da quando sono arrivato. È un’altra società, più compatta e organizzata. Parte del mio cuore sta qua, ma il grosso amore ce l’ho a La Coruña, ci sono stato dieci anni ed è lì la mia casa in Europa».

Nella tua carriera hai sempre fatto molti gol, cosa che qua alla Lazio non ti è mai riuscita. «Si, qua non ho fatto nessun gol. Dove sono stato ne ho sempre fatti tranne al West Ham dove ho preso solo un palo in sei mesi. Qua non ho mai giocato a centrocampo, sempre terzino, anche centrale e mi sono trovato poco davanti alla porta. Sono un giocatore da 4-5 gol a stagione, qua alla Lazio sono stato lontanissimo però aspetto queste ultime undici partite per cercare di farne uno. Ho preso un palo con un po’ di sfortuna visto che il tiro è stato deviato e ho capito che era abbastanza difficile fare gol qua. Non è una cosa mia, non è un problema ma sicuramente mi piacerebbe a livello psicologico perché comunque ci sono sempre stato abbastanza abituato. Sono cresciuto in una cultura di essere un po’ offensivo. Sono contento se faccio un bel cross o un bel passaggio, però anche quando fai un bell’intervento è una cosa bella».

Chi è stato secondo te il migliore in campo nel derby? «Mi è piaciuto molto come hanno giocato i nostri mediani. Loro erano uno in meno visto che la Roma ne aveva tre in mezzo. Dopo sono riusciti a giocare e far girare la squadra. Poi sappiamo che se anche Klose non fa gol per noi è importantissimo, ti fa dei movimenti quando non sai a chi dare la palla. Dobbiamo imparare tanto, quando uno è stanco e vede lui che corre ti dici “devo correre ancora di più”. È un esempio e io sono un po’ come lui. Mi piace tanto questo atteggiamento».

Proprio ai giovani, in particolare a Rozzi, hai permesso di entrare nei minuti finali della sfida con il Milan. «Prima doveva entrare Rozzi, poi il mister non sapeva se farlo entrare o no. Lulic disse che aveva un po’ di crampi nel polpaccio, mancavano due minuti sul 2 a 0 e parlando abbiamo detto di farlo entrare lo stesso e metterlo largo a sinistra. Fare un esordio contro il Milan, sicuramente rimarrà nella sua testa per sempre».

I complimenti per te arrivano anche dal Kuwait. «Posso dire solamente che fa piacere che ci sono tifosi anche in Kuwait, mandiamo un saluto a tutti, più siamo e meglio è. Così andiamo a fare un bel ritiro, là si sta bene c’è caldo».

Eri teso prima del derby? «Non posso dire che è una partita normale, ma ho giocato partite anche più pesanti. Ho giocato un mondiale con l’Argentina e in quel momento davvero non potevo stare in piedi quando cantavo l’inno. Io avevo più paura non della partita in sé, ma di come potevo trovarmi in campo dopo non aver giocato molto. Però avevo fiducia in me e a livello di pressione non ho avuto problemi. A 34 anni non posso soffrire la pressione, capisco che per un ventenne sia diverso, ma quando uno raggiunge una certa età non è più così».

Cosa dirai ai tuoi ragazzi quando farai l’allenatore? «Il giorno in cui sarò allenatore dirò ai miei giocatori di fare quello che faccio io adesso. Allenarsi bene per andare a casa tranquilli di aver fatto il proprio lavoro. Poi, come succede nel mio caso, purtroppo c’è anche il mister che deve scegliere tra 30 giocatori, un lavoro certo non facile, ma l’importante è fare sempre il massimo. Quando non faccio il massimo non sono contento con me stesso».


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