.

Lazio, Scudetto, Cholismo e... Cholito: 50 anni di Diego Simeone

di Gabriele Candelori
Fonte: Gabriele Candelori - Lalaziosiamonoi.it

Aprile il mese speciale di Diego Pablo Simeone. Cinquant’anni fa a San Nicolás, barrio del pieno centro di Buenos Aires, vedeva i suoi natali quel bambino che, proprio un primo di aprile dell’Anno Domini 2000, avrebbe cambiato la storia della Lazio. Per i tifosi biancocelesti l’argentino resta l’eroe di uno Scudetto che oggi sperano di poter tornare a lottarsi sul campo. Come piace fare al Cholo. Il soprannome, che nell’America Latina indica l’incrocio etnico tra bianchi e indiani, gli fu assegnato da Óscar Nessi, allenatore delle giovanili del Vélez Sarsfield a cui per il carattere battagliero ricordava l’omonimo Carmelo Simeone, difensore del club negli anni Cinquanta e primo Cholo nella storia. Un termine storico, dall’azteco Xoloitzucuintli, che in un continuo intreccio - stavolta metaforico - ritroveremo per illustrare le altre due parti di questa storia: il Cholismo e il Cholito. Due venti, figli dello stesso padre, che soffiano le passioni più romantiche del popolo laziale.

GLI ANNI ROMANI - Dopo gli esordi sul Río de la Plata, nel 1990 in Italia lo porta la prima volta il vulcanico presidente del Pisa Romeo Anconetani insieme a José Chamot, l’altro argentino che ne anticiperà le orme alla Lazio. Nel nostro Paese Simeone fa ritorno per vestire la maglia dell’Inter dopo un double all’Atletico Madrid, la stessa squadra che ne segnerà il futuro da allenatore. E, in un altro gioco del destino, conquisterà contro i biancocelesti il primo trofeo continentale: quella Coppa Uefa raggiunta anche grazie a un suo gol decisivo ai quarti contro lo Strasburgo. A Roma comunque, in quattro anni, espia tutte le sue colpe per aver infranto il sogno europeo della sua futura squadra. A Montecarlo fa in tempo a vincere con Eriksson la Supercoppa Europea contro gli invincibili dello United, poi sceglie i quarti di finale contro la Juventus per farsi perdonare la mezza rissa con Couto di qualche giorno prima e regalare il passaggio del turno alla Lazio. Quel giorno nasce anche l’esultanza con i pollici dietro la schiena a indicare il numero di maglia. Il tre invece, come i punti di distacco dai bianconeri, è il numero mostrato con le dita dopo il gol Scudetto al Delle Alpi arrivato grazie a quell’inserimento di testa che era una specialità del Simeone giocatore. Il Simeone allenatore si era intravisto al contrario durante il discorso fatto ai compagni negli spogliatoi prima di quella partita: “Chi non è disposto a crederci alzi la mano e si faccia da parte”. Trascinatore con le parole e i gol, pesantissimi per la volata al titolo quelli a Piacenza, Venezia e Bologna nelle ultime quattro giornate. Prima di tornare a Madrid e chiudere poi, in pieno stile sudamericano, la carriera in Argentina si prende tre rivincite contro l’Inter: Coppa Italia con gol nella finale d’andata, Supercoppa Italiana la stagione successiva e il 3-2 che mette in ginocchio la squadra di Cuper il famoso 5 maggio 2002. Qualche mese dopo, stretto un patto di ferro con i compagni e un ambiente in subbuglio per le cessioni di Crespo e Nesta, trascinerà anche la Lazio alla qualificazione in Champions League. L’ultima pagina romana di quel leader bonaerense a 24 anni già capitano della Nazionale.

IL CHOLISMO - È durante gli anni alla Lazio che Simeone pone anche le basi per diventare un allenatore di fama mondiale: “Sono tornato a casa dall'allenamento, ho preso dei fogli e ho cominciato a scrivere fingendo di prendere parte a una sessione. Alla fine della giornata ero circondato da fogli di carta, ognuno coperto da disegni o appunti”. Qualche premonizione c’era stata: da bambino disponeva i soldatini come una squadra da calcio e, a dieci anni, una foto lo ritrae mentre dirige una piccola orchestra di coetanei in Argentina. A cambiare sono solo i soggetti: non più soldatini né compagni di scuola, ma giocatori. Simeone vive su quella linea laterale del campo che fatica a contenere l’indole ribelle, da qui insegna il Cholismo, filosofia fatta di sudore, fatica, cuore e determinazione. E di ricerca del successo a tutti i costi, un po’ come per Carlos Bilardo, l’ultimo tecnico a vincere un Mondiale con l’Argentina. Fu lui a farlo debuttare con la Selecciòn nel 1988 ripetendogli: «Jugar bien es ganar». Piccola parentesi: di Bilardo si dice che da giocatore pungesse anche gli avversari con degli spilli pur di vincere. Forse anche per questo Diego risponde col sorriso a chi gli rinfaccia oggi di non proporre un calcio spettacolare. In panchina ha vinto un’Apertura con l’Estudiantes dell’ex compagno Veron, ha fatto il record di punti con il Catania e sfiorato due Champions League, ma soprattutto ha plasmato l’Atletico Madrid. Una squadra operaia, quella “squadra del popolo” (come ama definirla) capace di vincere tutto tranne quella coppa dalle grandi orecchie e che incanta ogni volta per rabbia e fame agonistica, per corsa e pressing fino all’ultimo secondo di gioco.

CHOLITO - Come nelle favole più belle un giorno le due strade torneranno a incrociarsi. Magari in un futuro lontano perché Simeone è felice con l’Atletico Madrid e la Lazio lo è ancor di più con Simone Inzaghi. Ma un giorno accadrà e il Cholo lo sa bene, come nei matrimoni più felici la promessa è stata scritta e conservata in un cassetto: “Tornerò alla Lazio, è solo questione di tempo”. Chissà che intanto non possa seguire le sue orme il figlio Giovanni. La scorsa estate, quando le voci di mercato si stavano facendo insistenti, raccontano che una telefonata del papà a Inzaghi per realizzare la romantica idea c’era anche stata. Una proposta buttata lì dopo un primo approccio già ai tempi del River Plate e del Mondiale Under 20 vinto da capocannoniere del torneo. Non sarebbe la prima volta con l’aquila sul petto. Il 21 maggio del 2000 il Cholito era ancora un bambino quando festeggiava sul prato dell’Olimpico lo Scudetto vinto dalla Lazio grazie al padre. Qualche giorno fa, sulla Playstation, almeno virtualmente, l’intesa con Immobile si è dimostrata perfetta. E in attesa che il Cholo un giorno compia l’atteso ritorno a casa, anche il Cholito può rappresentare l’unione di quel filo rosso che unisce il destino di Argentina e Italia grazie a un trascinatore nato a Buenos Aires per far sognare Roma.


Show Player
Altre notizie
PUBBLICITÀ