Lazio, la fine del calciomercato per scalare l'Everest
Fonte: Alessandro Zappulla - Lalaziosiamonoi.it
EDITORIALE LAZIO INTER - La scalata con la borraccia sulle spalle. Una ripida salita, che a tratti lascia senza respiro. Le forze che vengono meno ogni volta che si scruta la méta. No, non si tratta di una similitudine per raffigurare l'epilogo di una stagione agli sgoccioli. È solo la terza di campionato e la sfida che per le aquile è sembrata già l'Everest: è Lazio - Inter. Una battaglia, una guerra di nervi, un faccia a faccia con una diretta rivale di classifica. La banda di Inzaghi è stata coraggiosa. Ha pareggiato sudando. Ha sfidato gli uomini di Conte senza paura e, per l'economia della gara, forse avrebbe addirittura meritato di vincere. Di mezzo, ad inceppare il destino e a sbarrare la via del successo, i soliti problemi di questo inizio anno. Panchina corta, alternative insufficienti o poco esperte, rese ancor più inadeguate dalla solita variabile interveniente di queste prime sfide chiamata: arbitro. Partiamo dalla fine: Giuda. La sua direzione arbitrale è assai discutibile. Poco polso, fischia spesso e male. Scarsamente coadiuvato da una Var inesistente, cade nel tranello di Vidal con vittima Ciro, per poi compensare con Sensi su Patric. Non indirizza la partita, ma ne accentua le difficoltà, specialmente per la Lazio, costretta ad inseguire per lunghi tratti. Dettagli importanti sicuramente, ma non certo la sostanza.
MERCATO - L'Everest biancoceleste infatti, non indossa la giacchetta del direttore di gara, bensì dei risvolti ruvidi di quel mercato a tratti indecifrabile. Le pareti più ripide la squadra di Inzaghi se le ritrova in casa propria. Si tratta delle difficoltà arcinote. La difesa sotto stress e una campagna acquisti che non ha aiutato a rimediare. L'incognita dei nuovi e l'età che avanza pesano come una super zavorra per la Lazio. Stefan Radu si ferma ancora e stavolta molla la squadra in corsa. Per lui la terza partita di fila è fatale e questa ormai è una consuetudine. Al suo posto Bastos, spesso ai margini del progetto di Inzaghi. Entra e si fa male pure lui. Completa il film horror delle defezioni: l'infortunio alla caviglia di Luiz Felipe e la pubalgia atavica di Vavro. Nuova Lazio insomma, ma vecchi problemi verrebbe da dire. Problemi che qui a Roma sponda biancoceleste tutti hanno imparato a conoscere, ma con i quali nessuno ha più desiderio di convivere. L'Everest logora e rischia di fiaccare la presa. Il pericolo è quello di minare la fiducia di un gruppo che non recepisce dal di dentro la volontà di puntare la vetta. Il confronto con le Big evidenzia il gap della rosa laziale. Panchina corta, non paragonabile a quella nerazzurra (per non parlare della Juventus, senza citare Napoli e Atalanta), e assoluta, estrema necessità di un difensore da inserire in organico. La retroguardia come struttura, resta il tallone di achille di questa squadra. Occorre fare di più per aiutare Inzaghi a guidare la Lazio verso i primi posti. In un calciomercato povero e difficile un po' per tutti, Tare e Lotito dovrebbero sentirsi moralmente obbligati ad alimentare i sogni dell'ambiente. Saper pescare nel mercato delle idee per aggiungere alla rosa un puntello in più. Impacchettare un rinforzo nelle ultime ventiquattro ore, quale sterzata improvvisa alla solita storia. Insomma meravigliare o semplicemente agire per non avere rimorsi o rimpianti domani. Il countdown è partito, fra poche ore il gong finale porrà fine all'attesa. L'Everest è sempre lì, la banda di Inzaghi pure e non molla. Ora tocca alla società lanciare una fune, per tentare la scalata.