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Immobile, l'equilibrista della Lazio: "Il segreto è la forza nelle gambe. Klopp mi disse di non mollare"

di Daniele Rocca
Fonte: Lalaziosiamonoi.it

È quello di cui la Lazio aveva bisogno e del quale non può fare a meno. L'equilibrista Ciro Immobile. Indispensabile per Inzaghi, che lo ha sempre schierato titolare (squalifica contro il Chievo a parte). Lui l'ha ripagato con 14 gol in Serie A, che diventano 15 in stagione se si considera anche la Coppa Italia. Ma il ragazzo cresciuto a Torre Annunziata è molto di più, non si può ridurre a numeri e statistiche. Troppo freddi per uno come lui, dal cuore caldo. Che dà sempre il 100% per la squadra: "Tutto quello che ho, io lo do in campo". Le ultime parole di Ciro nell'intervista rilasciata alla rivista 11. Le abbiamo scelte perché da qui parte il mondo di Immobile, dove l'unica legge è il moto perpetuo. E, come teorizzava il grande Johan Cruyff, conta solo la forza delle gambe.

L'EQUILIBRISTA - "Il fatto che non mi fermo mai è merito di mia mamma, l’equilibrio in velocità invece è frutto dell’allenamento. Perché in campo sei sempre in contatto con qualcuno, una spalla, o una mano sulla schiena, se perdi facilmente la forza nelle gambe non è semplice giocare. Quando il centrocampista ha la palla orientativamente puoi farti un’idea di dove potresti correre. Un fattore importante è la coordinazione: devi capire dove correre e come concludere e poi farlo il più velocemente possibile, con i ritmi di oggi è impensabile che tu riesca a stoppare la palla dentro l’area, a guardarti intorno e a calciare. È soprattutto velocità di pensiero: gli attaccanti più forti lo sono per questo, al di là del talento".

LA CRESCITA - "Quando mi sono iscritto alla scuola calcio avevo  quattro anni, infatti non avrei potuto, ma mi hanno preso lo stesso. Non volevo mai saltare un allenamento, neanche con la febbre. I tanti prestiti non sono una cosa negativa perché ti danno l’opportunità di metterti in mostra. Magari se fossi rimasto alla Juventus non sarebbe andata così perché avrei avuto meno opportunità. L’unica scelta che non ho capito è perché dopo la stagione col Pescara, Verratti va al Paris Saint-Germain, Insigne lo riprende il Napoli, e io sono andato a Genova".

IL NON MOLLARE MAI - "Però alla fine è stata un’esperienza che mi è servita, a Torino l’anno dopo sono riuscito a fare bene ripensando ai momenti negativi che ho passato. Anche lì ho vissuto un momento difficile, nelle sette partite all’inizio in cui non facevo gol e dicevano che non ero pronto per la Serie A, che andavo bene per la B, che ero diventato capocannoniere perché c’era Zeman. Tutte queste cose non mi hanno buttato giù, anzi. Klopp mi ha insegnato che non si molla mai. Non è mai cambiato nei nostri confronti, quando abbiamo vinto la Supercoppa come quando eravamo ultimi in classifica a dicembre. Quando non giochi è difficile, ti abbatte. Anche se io non sono uno che si butta giù facilmente. In questi momenti interviene anche la passione, la voglia di giocare. Non hai molto tempo per farti vedere, la nostra è una carriera breve. Pensi: tra dieci anni smetto, quindi cerco di dare tutto adesso".


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