ESCLUSIVA - Lotito secondo Bonetto: "È nato per stare nel mondo del calcio. Se i tifosi andassero a cena con lui..."
Fonte: Andrea Centogambe - Lalaziosiamonoi.it
Innamorato della vita. È questa la sensazione che si ha quando si parla con Riccardo Bonetto. Tono pacato, parla a ruota libera, ripercorre con serenità le tappe della sua carriera. Rifarebbe tutto, dall'esperienza in Belgio appena ventenne, al trasferimento in quel di Roma, alla Lazio di Delio Rossi. Non serba rancore contro Claudio Lotito, si gode la sua famiglia, i suoi due splendidi figli. Oggi allena i bambini dell'ASD Calcio Amatori Istrana e si diverte a fare l'attaccante. La redazione de Lalaziosiamonoi.it, ha raggiunto proprio l'ex terzino biancoceleste classe 1979, che con l'aquila sul petto ha collezionato 9 presenze nella stagione 2006/2007. Un'intervista ricca di spunti interessanti, che vi proponiamo di seguito.
Ciao Riccardo, ci racconti cosa fai oggi nella vita?
“Faccio l'allenatore in seconda dell'Istrana e sono il tecnico del settore giovanile. Mi diverto anche a giocare, sono punta centrale, ho fatto dieci gol. Qui ho trovato un bel posto, siamo una grande famiglia, mi trattano come un pascià".
Segui ancora la Lazio e il calcio in generale?
“Non lo seguo tantissimo, adesso mi piace soprattutto allenare i bambini. Quando vedi che dopo una settimana un ragazzo sa calciare il pallone è bellissimo. Se continuerò a fare l'allenatore lo farò solo dei bambini, i grandi non mi interessano. Il mondo del calcio è bellissimo quando giochi, ma quando sei fuori capisci che è un po' particolare. Ma devo riconoscere che a me ha dato tanto, io ringrazio ogni mattina il calcio”.
Domani si giocherà Livorno-Lazio, i toscani lottano per la salvezza, i capitolini per l'Europa League. Che partita sarà?
“Sarà una partita tesa, sentita, non per motivi politici, che lascerei stare. Sono due tifoserie calde, vogliono vincere entrambe, sarà una bel match, acceso. Speriamo che vinca il migliore”.
Quante chance ha la Lazio di disputare l'Europa League la prossima stagione?
“Sarà un finale di stagione interessante, mancano ancora quattro partite alla fine del campionato. Reja è un bravissimo allenatore, la Lazio ha avuto un calo di recente ma secondo me ha buone possibilità di arrivare in Europa League. Quando riesci a scrollarti di dosso un momento di appannamento poi hai qualche stimolo in più”.
La Lazio ha subito 11 gol nelle ultime cinque partite. È la difesa il reparto da rifondare?
“Il succo del calcio sono gli equilibri, gli incastri. Ho giocato in alcune squadre dove in difesa facevamo benissimo, ma quando sono stati inseriti nuovi giocatori, anche se di valore assoluto, questi equlibri si perdevano. Quella della Lazio è una situazione particolare, c'è stato il cambio di allenatore e Reja è un tecnico che ha bisogno di prendere per mano la squadra da agosto, perché lavora tanto sulla testa dei giocatori. Subentrare a stagione in corso non è mai l'ideale. In un momento di crisi devi lavorare su molti aspetti, i risultati non si ottengono in una settimana. La famosa scossa non si ottiene facilmente. Il maestro Mourinho è uno psicologo, i suoi giocatori danno la vita per vincere. Questo è il segreto del calcio”.
Torniamo indietro nel passato: cresci nelle giovanili della Juventus, nel gennaio del 1998 passi in presito al Novara, dove esordisci tra i professionisti in Serie C2. La stagione successiva, pur rimanendo sempre di proprietà dei bianconeri, inizi la preparazione con la Fermana, salvo poi trasferirti in Belgio al Beveren. Che esperienza è stata?
“Che bella! Io a calcio mi sono divertito in Belgio e mi diverto oggi con l'Istrana. Senza nulla togliere alle altre squadre per carità, io vengo da una famiglia umile del Veneto, quindi ho il massimo rispetto per tutti. Ma in Italia c'è uno stress sportivo esagerato, è più un lavoro che uno sport. In Belgio le famiglie venivano a vedere il derby insieme ai tifosi avversari. Io ho avuto la fortuna di andare lì perché quando ero alla Juventus Primavera facemmo un quadrangolare con una squadra belga. A loro serviva un giocatore nel mio ruolo, e così mi hanno scelto. È stata un'esperienza bellissima, ho giocato in Sere A da titolare e ho fatto anche tre gol. Io volevo rimanere ma sono tornato alla Juventus. Una volta tornato in Italia sono andato all'Arezzo dove c'era Cabrini che mi ha insegnato davvero molto. Poi l'Empoli mi ha tolto l'etichetta del 'giocatore in prestito dalla Juventus'; in Toscana ho vinto un campionato di Serie B con un squadrone: c'era Di Natale, Maccarone, Grella, Rocchi. Quell'anno ho fatto undici presenze, io volevo giocare di più, credevo che in Serie A avrei trovato poco spazio. Così, anche se il mister Silvio Baldini voleva tenermi, mi sono trasferito ad Ascoli, un club neopromosso in Serie B. In quel momento era giusto rimanere all'Empoli, purtroppo quando sei giovane rischi di fare scelte sbagliate. Ma tornare adesso, a 35 anni, alle scelte fatte a 20 anni non serve a nulla”.
Poi arriva la Lazio, nell'estate del 2006...
“Io stavo attraversando un grande momento, avevo esordito in A con l'Empoli ed ero uno dei terzini con la migliore media voto del campionato. Avevo già i contratti in mano dell'Atalanta e del Torino, nel senso che c'era già la firma del presidente. Poi ero in trattativa con la Sampdoria, il mio procuratore aveva verbalmente chiuso l'affare. E c'era anche la Lazio. Sabatini era il ds, lo conoscevo da tempo, quando ancora non era famoso. È una persona squisita, fu lui a portarmi in Belgio e poi all'Arezzo. Mi propose di andare alla Lazio, così incontrai Lotito che mi fece il contratto. La Lazio era la migliore squadra di quelle quattro. Io ero felicissimo, ma con Delio Rossi all'inizio non ci siamo capiti perché non mi aveva scelto lui. Nei primi sei mesi infatti non sono praticamente mai sceso in campo, anche se in quelle rare apparizioni, come contro la Sampdoria, avevo fatto benissimo. Poi nel girone di ritorno ho giocato di più, ho avuto anche la fortuna di entrare nel derby, è stata una bellissima esperienza”.
Com'è stato il primo impatto con Roma e con una piazza che vive il calcio in maniera così esasperata?
“È questo il bello, è questo il calcio vero di altissimo livello. L'unica cosa è che bisogna tenere i piedi per terra, perché se fai bene in una piazza del genere ti senti un dio sceso in terra. Nel calcio bisogna sempre riconfermarsi, è la cosa più difficile. Sembrano frasi banali ma non lo sono. Mi viene in mente uno come Dida, che era ai livelli di Buffon, in tre mesi si è rovinato, è sparito. Dida come tanti altri. Bisogna godersela questa passione, fare sempre il massimo. Mi dà fastidio vedere come alcuni giovani si perdano per strada, finiscono nel dimenticatoio perché sbagliano atteggiamenti e sprecano delle intere annate per delle ingenuità. Non voglio fare il saggio, ma a quest'età posso parlare. È importante godersi il momento. Io alla Lazio ero felice, ero contento di vestire quella maglia. Non bisogna sempre volere di più, bisogna anche capire quando si è fortunati. È giusto voler fare sempre meglio, ma è giusto anche godersi quello che si ottiene. E con questo non dico che bisogna sentirsi appagati”.
Quando sono iniziati i primi problemi con la Lazio ?
“È stata una cosa strana, anche il Bologna e il Livorno ci hanno messo del loro, perché io ero stato uno dei migliori. Ho vinto un campionato con entrambe le compagini, avrebbero dovuto fare uno sforzo per trattenermi. Vincere due campionati di fila in Serie B non è facile, chi vince in cadetteria poi secondo me può salvarsi tranquillamente in A. Il Bologna l'anno dopo la promozione, ha cambiato più di metà squadra, invece avrebbe dovuto confermare lo zoccolo duro, i giocatori che si sono guadagnati la pagnotta. Invece hanno preso giocatori che non avevano ottenuto la salvezza, non avevano sofferto con noi per ottenere quel traguardo. Questo discorso vale per tutte le categorie, spesso le società sbagliano. È così è nata questa situazione dei 'fuori rosa'. Io avrei preferito chiudere la questione prima di fare causa alla Lazio, bastava trovare un accordo con altre società. Prima della Supercoppa italiana con l'Inter, la società mi comunicò che sarei stato messo fuori rosa, mentre durante il ritiro sembrava tutto tranquillo. Quando sono rientrati dalla Supercoppa, hanno deciso di restare con quei giocatori e così si sono formati due gruppi. Io la vedo così, abbiamo sbagliato entrambi, sia noi giocatori fuori rosa, sia la società. Non c'è stata cattiveria, ma si poteva gestire in maniera diversa tutta la situazione. Se le cose vanno bene è meglio per tutti, è stato un peccato. Se all'epoca sentivi Lotito diceva che era solo colpa nostra, noi dicevano che era tutta colpa di Lotito. Ma la verità sta nel mezzo”.
Poi hai deciso di fare causa alla Lazio e l'hai vinta...
“Sì”.
Come si svolgevano le vostre giornate?
“Eravamo in dieci, dodici all'inizio. Mi ricordo Mandredini, Mutarelli, De Silvestri, Ledesma, Firmani, Kozak, Pandev. Ci allenavamo su un altro campo con il preparatore tecnico e l'allenatore in seconda, Crialesi. Facevamo la parte tattica e poi la partitella. Il mercato era ancora aperto ma le società che volevano prenderci se ne approfittavano, cercavano di pagare l'ingaggio per metà perché eravamo fuori rosa”.
Come si è evoluto il tuo rapporto con Lotito?
“Io ringrazio anche il presidente Lotito, il mitico Lotito (ride, ndr). Un tifoso è abituato a vedere le cose da tifoso, giustamente, perché ci mette l'anima, ma nel calcio c'è anche business, la nostra trattativa è stata un business. È una persona che mi sta anche simpatica, lasciamo stare quel momento che sembra una puntata di 'Forum', dove una volta terminata la trasmissione vanno tutti a cena fuori e si abbracciano. Lotito è fatto per questo mondo qui, è l'ideale, è nato per stare nel mondo del calcio, con tutti i suoi pro e contro. È una persona molto intelligente, scaltra, cinica nelle cose in cui bisogna esserlo. Il calcio non è fatto per i bravi ragazzi, bisogna essere svegli e lui lo è. Con Lotito si poteva arrivare alla discussione accesa ma finiva lì, non portava rancore. Se scappava un 'vaffa' non se la prendeva, e questa è una cosa positiva. Era uno alla mano, si confrontava, non snobbava niente, è meglio nel privato che nel pubblico. Alla fine di lui ho un ricordo positivo, lasciando fuori quella sitazione, lo stimo come persona. Se i tifosi lo conoscessero in privato direbbero la stessa identica cosa. Se avessero tutti la possibilità di andare a cena con Lotito, pagherebbero loro il conto (ride, ndr), ma poi verrebbero tutti allo stadio”.
Cosa ne pensi della contestazione che sta investendo l'ambiente Lazio?
“Dispiace, quando c'è lo stadio vuoto è veramente triste. Quello che mi sento di dire è che non c'è tanta qualità nella Lazio, questo club merità di più. Il Milan ad esempio, ha venduto Thiago Silva e Ibrahimovic per questioni economiche. Ci può stare come discorso, ma dopo come fai ad arrivare tra le prime quattro? Meglio venderne 6-7 che guadagnano tre milioni l'anno, meglio avere in rosa 20 giocatori, molti presi dalla Primavera, e tenere Ibra e Thiago Silva: il primo fa 30 gol all'anno, il secondo fa reparto da solo e chiunque gli metti vicino fa bene. Costacurta è diventato grande grazie a Baresi, se non lo avesse avuto al suo fianco avrebbe giocato al Mantova”.
Quando eri alla Lazio ti sembrava che ci fosse una programmazione all'interno della società o piuttosto che si navigasse a vista?
“La voglia di fare c'era. Quando io ero alla Lazio Tare non aveva ancora cominciato a fare il direttore sportivo. Secondo me una grande perdita è stata quella di Sabatini, con Lotito erano una bella coppia”.
Un altro giocatore che ha “militato” nel gruppo dei fuori rosa è Mauro Zarate. Qual è il tuo giudizio sul giocatore e sulla persona?
“È un bravo giocatore che non è molto forte mentalmente. Uno che sul campo fa quello che ha fatto lui non lo fa per caso. La cosa bella del calcio è che un brocco, anche se raccomandato, se non è bravo si vede. Sul rettangolo verde devi saperci fare. Zarate è un bravo ragazzo, ma al suo secondo anno quando si è ripresentato in ritiro, l'ho visto un po' sovrappeso, più rilassato. Riconfermarsi è difficile, i più grandi mi hanno insegnato che il secondo anno è sempre più difficile del primo. Forse lui si sentiva forte, poi la squadra quell'anno è andata male e non lo ha certo aiutato. Sarà prevalsa un po' di ansia ed ecco che si è perso”.
Con Ballardini invece che rapporto hai avuto?
“Ballardini non mi è piaciuto, sia come persona che come allenatore, magari sarà stato travolto dalla piazza. Io con Reja e Rossi ho avuto un ottimo rapporto, davvero. Ma Ballardini era troppo aziendalista, ha una mentalità sbagliata. Se Lotito gli avesse detto buttati nel fosso lui l'avrebbe fatto. Nel calcio bisogna avere personalità. Personalità che hanno Reja e Rossi. Per quel poco che ho visto è questa l'idea che ho di lui, lo vedo più un tecnico del settore giovanile o della Primavera. Fare bene alla Lazio non è semplice, bisogna avere le palle per prima cosa, mentalmente devi essere tosto. È una piazza diversa da tante altre, Ballardini non aveva la personalità adatta per quella piazza lì”.
C'è un aneddoto della tua esperienza laziale che ricordi con piacere?
“Ce ne sono tantissimi, ma è passato molto tempo, faccio fatica anche a ricordarli. Ricordo con affetto gli sketch con Manzini, un personaggio immenso, anche sottovalutato. Eravamo un bel gruppo, affiatati, sono stato bene. Non a caso siamo arrivati terzi”.
Cambieresti qualcosa della tua carriera calcistica?
“Io rifarei tutto, i miei sogni nel cassetto li ho realizzati tutti. A Roma ho conosciuto mia moglie e abbiamo fatto due figli bellissimi, mi porto nel cuore tutte le mie esperienze. Sono felice, ho avuto tutto quello che volevo. Il calcio mi ha dato tanto, sicurezza economica, felicità. Non posso chiedere altro”.