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ESCLUSIVA - Giuseppe Papadopulo: "Lazio, a Palermo serve l'orgoglio!"

di Lalaziosiamonoi Redazione
Fonte: Cristiano Di Silvio-Lalaziosiamonoi.it
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Momento delicato; difficile nasconderselo. In pochi avrebbero creduto che, alla vigilia del quinto impegno di campionato, la colonna delle sconfitte biancazzurre fosse quella che più risalta se si scorge la classifica della Lazio. E dopo il match perso con l’Udinese, anche il bel gioco e le lodi alla truppa sono venute meno. Contro gli “Stramaccioni boys” la Lazio è apparsa ferma sulle gambe, priva di idee, lenta e prevedibile. Troppo brutta per essere vera, però. Certo, la squadra di Pioli molto ha cambiato, modulo tattico addirittura. Serve tempo, dicono i più benevoli; non c’è più tempo, ribattono i (tanti) delusi. Al solito, la verità è nel mezzo: quello che unisce tutti, però, è la voglia di riscatto e di vedere la truppa di Pioli, man mano darsi una fisionomia e su quella insistere, per evitare di passare dalla sfrontatezza mostrata alla “Scala” del calcio, menando le danze del match, fino ad arrivare alla timidezza manifestata nell’affrontare Théréau & co. Ora Pioli deve dare l’impressione di avere idee chiare, sangue freddo e i giocatori dalla sua. La storia della Lazio, e quella dei suoi allenatori, è zeppa di situazioni simili, o addirittura anche più complicate. E quando si parla, in casa Lazio, di grinta, di abnegazione, di professionalità, e di totale aderenza alla causa, un nome che non si può scordare è quello di Giuseppe Papadopulo. Altra Lazio, altri tempi: la macchina dei ricordi ci riporta indietro di dieci anni precisi, stagione 2004-2005, la prima della Lazio di Lotito. Nessun timore di smentita se dicessimo che, capovolgendo il modo di dire, quella Lazio era un cristallo in mezzo a tanti elefanti: ricostruita dalle sue stesse ceneri, era quella dei “nove acquisti in un giorno”, affidata alla buona volontà di un tecnico forse lasciato troppo solo, quel Mimmo Caso che alla decima giornata ricevette i retorici ringraziamenti per il lavoro svolto ma, contestualmente, un gelido addio. Gelido in tutti i sensi, perché quel gennaio di dieci anni fa, rimane uno dei più freddi del giovane secolo; a riscaldare cuori e anime, Claudio Lotito chiamo energia pura fatta uomo, appunto Giuseppe Papadopulo. Che timorato, in verità, non lo è stato mai: né da difensore quando giocava, coniugando tanto veemenza quanto correttezza, tantomeno da allenatore, andandosi a guadagnare la chance offerta in giro per quell’Italia di provincia, dove se ti imponi è perché la stoffa ce l’hai. E siccome a Papadopulo il coraggio non difetta, la sorte gli pose davanti, come esordio, la “madre di tutte le battaglie”: giovedì 6 gennaio 2005, la Befana forzatamente invitata all’Olimpico di Roma per il 193° derby della Capitale: tanto carbone per i giallorossi, una calza con tre dolcissimi gol per il popolo laziale. Al figliol prodigo Di Canio, al sambeiro Cesar e al futuro capitano Tommaso Rocchi l’onore della firma e la stima indefessa del tecnico pisano. Che se lo giocò a viso aperto, quel derby, e che avrebbe voluto osare di più. Imbrigliati Cassano e Totti, grazie alla premiata ditta” Fratelli Filippini”, alla fine del match ebbe a rammaricarsi di non aver potuto schierare le tre punte: altro che basso profilo, altro che Roma da temere. Fu un anno intenso, complicato ma alla fine Papadopulo il compito di salvare quella Lazio lo portò a termine. Come spesso accade nel calcio, però, la riconoscenza scarseggia e l’anno dopo in panchina si siederà Delio Rossi, mentre il “Papa” trovò stimoli e apprezzamenti in quel di Palermo. E proprio per commentare l’imminente e delicata sfida con i siciliani, per provare ad immaginare come dovrà muoversi la Lazio al “Barbera”, che la redazione de Lalaziosiamonoi.it ha contattato il doppio ex Giuseppe Papadopulo.

Mister, la partita con l’Udinese ha fatto registrare un evidente passo indietro, soprattutto sotto l’aspetto della manovra e della fluidità del gioco. Con la presenza in campo, forzata dagli eventi, di alcuni giocatori che Pioli ha destinato alla seconde linee, si sono rivisti errori e amnesie, simili a molte brutture dello scorso campionato. Che opinione si è fatto? Che Lazio ha visto?

Credo che la partita con l’Udinese sia nata, e sia poi proseguita, sotto l’insegna della confusione. Ritengo Pioli preparato, ma forse non era il caso di applicare un turnover così massiccio come quello messo in campo dalla Lazio. Non avrei rinunciato a Lulic, avrei dato più spazio a Keita e ne avrei cercato per Mauri, che può, con la sua esperienza, provare a cambiare volto agli incontri. Il problema principale che ha accusato la Lazio nel confronto contro i friulani, secondo la mia opinione, è quello di non aver saputo imporre il proprio ritmo all’incontro, che viene però a prodursi anche in base alle caratteristiche di determinati giocatori. Questione di scelte, in cui ogni allenatore crede fermamente. Non sempre, però, danno i frutti sperati.

Pioli e Roma, Pioli e la Lazio. Come per i giocatori, anche gli allenatori hanno bisogno di un periodo di ambientamento alla nuova società nella quale vanno ad operare. Le chiedo: lei che qui ha giocato ed allenato, ritiene l’allenatore emiliano capace di adattarsi alla piazza di Roma, sponda Lazio, che non è per definizione, un ambiente “facile”, con i suoi alti e bassi?

Roma, e l’ambiente laziale, sottopongono chiunque ad una pressione poco comune in giro per l’Italia, figuriamoci l’allenatore. Lo dico col sorriso sulle labbra, ma a Roma, non importa quale fazione si osservi, l’allenatore deve “allenare” anche il proprio ambiente; i tifosi vanno “allenati” a guardare un po’ più il generale e non a soffermarsi sempre sul particolare. Non è facile, ma è inevitabile. È anche per questo che Roma, e la Lazio, sono e saranno sempre affascinanti, dal punto di vista della professione dell’allenatore. Il tecnico, secondo la mia concezione, non deve staccare mai, si deve nutrire del proprio lavoro continuamente, ventiquattro ore al giorno. Roma non è Bologna, altro ambiente che io conosco bene. La capitale vive di calcio, lo sappiamo tutti. Dunque, l’allenatore di una squadra come la Lazio deve sapersi calare in e con questo spirito. Mi lasci dire, però, che ritengo Pioli assolutamente adeguato al compito che gli è stato affidato. Il suo bagaglio tecnico meritava questa opportunità così come la Lazio un tecnico innovativo come quello che ha scelto.

Un suo giudizio su Candreva: in settimana il rinnovo del contratto, in campo contro l’Udinese con la fascia di capitano al braccio. La società conferma di volerci puntare con decisione, il pubblico lo elegge sempre più come proprio beniamino. È un momento cruciale per la carriera dell’esterno romano: dove può arrivare?

Condivido la scelta di averlo promosso capitano, scelta che mi auguro il gruppo tutto possa riconfermare già lunedì sera a Palermo. Candreva si merita tutto quanto di buono gli capiti in questa fase della sua carriera: con la Lazio è cresciuto in punta di piedi, ha risolto con maturità e intelligenza i problemi che aveva con una parte dell’ambiente a suon di gol e prestazioni, si è caricato la squadra sulle sue spalle dopo lo choc della cessione di Hernanes, come esordiente, ha giocato un buon Mondiale se paragonato alle prestazioni deludenti di molti suoi navigati compagni di squadra. È chiaro che il momento appannato della Lazio merita risposte dai suoi giocatori; anche Candreva deve dare di più in questo momento e portare la Lazio fuori dalle secche dei mancati risultati.

Belotti, Dybala, il Palermo tutto, hanno destato, finora, ottime impressioni. Gli ultimi risultati, soprattutto il gagliardo pareggio del “San Paolo”, con il giovane bomber rosanero sugli scudi, agitano l’ambiente laziale. Che Palermo troverà la truppa di Pioli?

La Lazio troverà sicuramente un Palermo galvanizzato dai responsi che il campo gli ha dato finora. La squadra di Iachini ha raccolto risultati insperati ma assolutamente meritati. Giocano un calcio accorto, fatto di collettivo e grinta, la Lazio dovrà essere capace di leggere in anticipo la strategia del Palermo. Senza voler essere partigiano, guardando però ai due collettivi, ritengo la Lazio superiore, almeno sulla carta, e con il tasso tecnico in regola per poter tornare dalla Sicilia con il massimo dei punti. Va da sé che non basta solo essere più forti a bocce ferme, l’unica possibilità per espugnare il terreno dei palermitani sarà quella di giocare con l’intensità delle prime gare, ma soprattutto quella di capitalizzare le occasioni che si presenteranno.

Vincere per tornare a correre. Un po' quello che accadde alla sua Lazio, presa ai margini della zona retrocessione, e con un derby da giocare tra mille difficoltà. Quella stracittadina rimane patrimonio del tifoso laziale e anche quella faticosa salvezza pose le basi per le Lazio che vennero. Cosa dovrebbe prendere la Lazio di oggi da quella squadra di dieci anni fa?

L’orgoglio, fu l’orgoglio che ci sostenne nei momenti più difficili. Ricordo che in quella squadra giocava Di Canio, massimo simbolo dell’appartenenza laziale di quell’epoca. Quella era una squadra con una cifra tecnica tutta da scoprire, quasi una neopromossa, tanto era stata pesante l’estate trascorsa con il batticuore di sparire dal panorama calcistico italiano. Ne venne fuori una squadra “operaia” che si battè domenica su domenica. La Lazio di oggi ha tanto valore e qualità che può tranquillamente partire da se stessa, senza dover cercare soluzioni esterne. Deve migliorare come collettivo, senza lasciare sul campo i punti che ha lasciato finora. Lavoro, sacrificio e un pizzico di fortuna: altra medicina davvero non c’è.


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