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Lazio, Immobile e i record silenziati: avete scritto una brutta pagina di sport

di Marco Valerio Bava
Fonte: MarcoValerio Bava-Lalaziosiamonoi.it

Non è facile abituarsi, rassegnarsi forse impossibile. Eppure è la costante quando (non) si parla di Lazio. La guerra tra Lotito e il quotidiano sportivo più venduto in Italia è ormai cosa nota, le parti sono pure in causa, come è evidente il livore di giornali generalisti che hanno nel patron biancoceleste il bersaglio preferito e forse più facile contro cui scagliarsi. Lotito è colpevole di aver spinto per la ripartenza dei campionati, s’è esposto a differenza d’altri che erano sulla sua stessa lunghezza d’onda, ma soggiogati dal mantra ipocrita che faceva più o meno “stiamo contando i morti, come si fa a pensare al calcio”. L'ipocrisia è emersa poi tutta insieme, come quando s'ottura il sifone del water e quel che c'è dentro trabocca col suo fetore. Già perché una volta ripreso a rotolare il pallone, con le varie partite sempre in trend topic sui social e la solita ridda di polemiche su Sarri, Conte, Pioli, Fonseca e compagnia, tutti si sono dimenticati del Covid e dei morti. Soprattutto quelli che prima davano lezioni di morale.  Lotito lo sapeva, conosce l'italiano medio meglio di quanto l'italiano medio conosca se stesso, se n’è fregato della captatio benevolentiae national popolare ed è andato dritto per la sua strada. Come fa sempre. Con modi indelicati? Forse, ma se oggi c’è chi ancora ha un mestiere con cui pagare le tasse a fine mese (intorno al calcio girano 200 mila posti di lavoro), compresi quei giornalisti che l’avversano, un po’ è merito pure dell’arrogante Lotito. Su ultrà di alcune squadre, che chiedevano con striscioni e volantini la sospensione del campionato, e oggi si ritrovano a festeggiare il non scudetto altrui, è meglio invece stendere un velo pietoso. Insomma, la premesse, un po’ lunga in effetti, era per dire che la Lazio paga anche la fama di cattivo del pallone del suo presidente. Ma non solo. Paga il proliferare di tifosi, non di giornalisti, in molte redazioni e di persone poco preparate che si fan chiamare cronisti. Eppure è difficile arrendersi all’ignoranza. Perché malafede sembra brutto e non ci permettiamo.

POVERO CIRO - Ignorare un giocatore come Ciro Immobile, silenziare il suo cammino straordinario, dare fiato agli imbecilli da social che si riempiono la bocca di “segna solo su rigore” e amenità varie, è ingiusto e vergognoso per la categoria a cui appartiene anche chi scrive. Solo un quotidiano sportivo, oggi, dà il giusto spazio all’impresa di un attaccante italiano che ha scritto pagine leggendarie, che resteranno per sempre, anche tra 100 anni, quando a seguire il pallone ci saranno i figli dei figli dei nostri figli. Gli altri lo relegano in box laterali, lo insabbiano, come se Immobile non appartenesse al nostro calcio, non fosse patrimonio presente e futuro di ogni appassionato. Fa male notare come Immobile trovi più spazio sulle prime pagine del Mundo Deportivo, di Marca o di Sport, piuttosto che sui giornali sportivi italiani. Fa male perché evidenzia che il giornalismo sta morendo, sopraffatto dal tifo e dagli interessi editoriali. Confrontare le prime pagine del 15 maggio 2016, dedicate al record di Higuain, con quelle di oggi, fa cadere le braccia. Vedere la trasmissione di punta di una nota emittente satellitare dedicare spazio al taglio di capelli di Ronaldo, alla progressione di Zaniolo e nulla (o quasi) al terzo italiano a vincere la scarpa d’oro è deprimente. Vedere lanciato il servizio sul Cruijff giallorosso, al posto di quello dedicato al modesto attaccante laziale è sconfortante. Sentire un allenatore come Capello dire “In Zaniolo si che vediamo cose speciali, altro che scarpa d’oro…”, con tanto di presa per il sedere a chi ha appena segnato 36 gol, ripetiamo 36 gol, in un solo campionato, dovrebbe spingerci a dedicarci ad altro, magari all’ippica, al tresette, al bowling, sicuramente non più al calcio, perché vuol dire che fino a qui non abbiamo capito nulla. Chissà cosa penserà Ciro, chissà come si sentirà, vittima di un perverso gioco anti-Lazio. Quello che sta accadendo, comunque, è abbastanza chiaro. Troviamo una lapide e scriviamo un bell’epitaffio perché il giornalismo sportivo è ormai prossimo alla morte ed è meglio, col ferragosto che s'avvicina, non farsi trovare impreparati. 


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