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Lazio, il coraggio d'Inzaghi e la forza del gruppo: ora la panchina è un'arma

di Marco Valerio Bava
Fonte: MarcoValerio Bava-LaLaziosiamonoi.it

Nella Lazio che vince, nella Lazio che s’afferma come una delle realtà più importanti del calcio italiano, c’è anche la mano dei gregari e sembra termine poco edificante, quasi sgradevole per un atleta e invece non lo è. Se il campione spicca è perché c’è chi lo mette in condizione di lavorare al meglio e chi sopperisce anche ai suoi passaggi a vuoto dando alla squadra un contributo uguale, se non maggiore, degli elementi più pubblicizzati e celebrati. La Lazio vola e lo fa anche grazie a chi s’alza dalla panchina, entra in campo ed è capace di fare la differenza o di non farla sentire, la differenza, con il campione appena uscito. La Lazio è la storia di un gruppo compatto, coeso, unito, nel quale tutti sanno darsi una mano e tutti contribuiscono al successo della squadra. Priorità assoluta. Come vuole Inzaghi. E tanto di cappello all’allenatore, capace di creare un’amalgama straordinaria nello spogliatoio, coinvolgendo tutti, senza creare figli e figliastri. Un risultato mai scontato, una trappola che spesso ha fatto vittime anche illustri. La Lazio invece è come un vascello dove tutti remano nella stessa direzione, nel quale la rotta è stabilita dal capitano al quale l’equipaggio è fedele senza alcuna remora. Nel filotto di otto vittorie consecutive in campionato, nel trionfo in Supercoppa, c’è l’impronta indelebile del gruppo. Lo testimonia la capacità di incidere dei giocatori che subentrano, dei gregari che si staccano dalla panchina e ti fanno fare il salto di qualità. A Riyadh se n’è avuto un altro esempio. È da poco passata l’ora di gioco, il risultato è di 1-1 e Inzaghi sceglie il doppio cambio nel giro di pochi minuti: fuori Luis Alberto e Leiva, tra i migliori (se non i migliori) fino a quel momento, dentro Parolo e Cataldi. Alzi la mano chi non ha sussultato. Il rischio era grande, l’azzardo tale da rischiare di bruciarsi, perché il Mago e Lucas stavano giocando una partita sontuosa.

POTERE DELLA PANCHINA - Ma Inzaghi sapeva, aveva calcolato tutto, aveva ben in mente il suo piano partita. Voleva pressione, voleva intensità, anche durezza nei contrasti e con Luis Alberto e Leiva ammoniti non poteva attuarlo. Il rischio di rimanere in dieci e compromettere una grande prestazione, quello era il pericolo da non correre. Aveva letto alla perfezione la gara Simone, ha avuto ragione. Parolo e Cataldi sono entrati con spirito e forza, hanno dato un contributo fondamentale in copertura e contribuito in modo decisivo nei gol del 2-1 e poi del 3-1. Marco s’è sganciato al 73’, ha spizzato il cross di Lazzari, ha fornito a Lulic la palla buona per il nuovo vantaggio. Danilo s’è inventato una punizione alla Beckham, palla che gira e Szczesny fermo a vedere la sfera che tocca la traversa e s’insacca. Coronamento di mezzora d’altissimo livello di entrambi, superiori in ogni momento ai dirimpettai bianconeri. E non sottovalutare l’ingresso in campo di Caicedo: la Pantera ha approcciato subito benissimo, ha fatto salire la squadra, ha innescato due volte Correa, ha dato un altro saggio delle sue grandi qualità. Lui ha avviato l’azione che poi ha portato al tris di Cataldi. La Lazio può contare su tutti. Quello di Riyadh non è stato un episodio. La storia si ripete, la panchina è diventata un'arma, una risorsa da cui attingere senza paura. Nella splendida rimonta di metà ottobre contro l’Atalanta, lì dove tutto è cambiato, menzione speciale meritano Cataldi e Patric, entrati in una situazione disperata e capaci di dare una svolta decisiva all’andamento della partita. Una settimana dopo, a Firenze, è Lukaku a subentrare e a servire l’assist per il gol vittoria di Immobile. Caicedo ha regalato quattro punti con i gol last minute a Reggio Emilia e Cagliari: in Sardegna è staccato sul cross di Jony. Entrato pure lui a gara in corso. Felipe ha chiuso anche il match contro la Juve in campionato. Insomma, dalla panchina si può attingere e lo si può fare bene. Inzaghi lo sa, non s’è mai lamentato della “rosa corta”. Anzi, da capitano ha sempre spinto il suo equipaggio a fare meglio, difendendolo però in pubblico da ogni critica. Ora raccoglie i frutti del suo coraggio. 


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