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I cori milanisti, l'indifferenza generale: i Laziali possono essere discriminati

di Marco Valerio Bava
Fonte: MarcoValerio Bava-Lalaziosiamonoi.it

“E le Romane p*****e” e via così dall’inizio alla fine. Dalla curva sud del Milan i cori si sono levati continui, incessanti, senza soluzione di continuità. Offese che vanno ormai incasellate nell’ambito della discriminazione territoriale. Piaccia o meno è così. Ci spaccherà sempre di fronte all’argomento, tra chi sostiene che sia solo goliardia da stadio e chi invece anche dalle parti più calde del tifo pretende rispetto e un sostegno sano ai propri giocatori. Bisogna poi distinguere tra “discriminazione territoriale” e “discriminazione razziale”, non sono la stessa cosa, seppur il confine sia labile. Per esempio, durante Roma-Napoli, Rocchi decide di sospendere la gara dopo i ripetuti annunci dello speaker dell’Olimpico che chiedeva la cessazione dei “cori di discriminazione razziale”. In realtà di ululati razzisti non ce n’erano stati, mentre s’erano sentiti forti e chiari i cori contro Napoli e i napoletani. E proprio a causa di quelli, l’arbitro aveva deciso di interrompere per qualche minuto il match muovendosi nello steccato del regolamento. E allora vien da chiedersi perché Calvarese non abbia fatto lo stesso a San Siro, perché indicare in tal modo del donne romane e le mamme dei tifosi della Lazio, equivale a discriminazione territoriale, oltre che a un’offesa incivile. Ci si metta d’accordo allora: o vale tutto o non vale niente. Altrimenti viene il sospetto che alcune tifoserie siano più protette di altre, che su alcune tifoserie si possa vomitare odio senza che nessuno muova un dito. I tifosi della Lazio, lo sappiamo, stanno poco simpatici. Per carità, a volte ci mettono del loro, ma che siano vittime di un preconcetto indistruttibile, di un’atavica antipatia di chi orienta l’opinione pubblica è indubbio. Il massacro mediatico a ogni errore del tifoso Laziale è istantaneo e spietato, non c’è alcuna reticenza nel distruggere tutto e tutti, generalizzando sempre e gettando fango anche sulla maggioranza per bene che costituisce il pubblico della Lazio. Cosa che non succede altrove, dove c’è un’attenzione quasi maniacale nel distinguere chi si macchia di comportamenti illeciti e chi invece è esemplare nel suo modo di vivere lo stadio e il tifo. Non è semplice dimenticare come, dopo l’aggressione a Sean Cox, ci si affrettò a parlare di “tifosi romani” e non di “romanisti”. Come per decenni si sia taciuta la vergogna dei cori, delle scritte, degli adesivi inneggianti alla morte di Vincenzo Paparelli. Mentre dopo le ignobili figurine col volto d’Anna Frank, la reazione dell’opinione pubblica fu rabbiosa e colpì tutti i tifosi della Lazio in maniera indistinta, dimenticando la capacità di dividere tra chi si macchiò di tale becero gesto e chi invece fu vittima di quella follia e cioè il pubblico per bene. Tanto da far passare sotto silenzio la nobile iniziativa del club di inviare una delegazione di ragazzi delle giovanili a visitare Auschwitz. Ma questo è solo un esempio. La realtà dice che a San Siro, per quasi tutti i 90 minuti di partita, i tifosi della Lazio sono stati oggetto di cori offensivi dei dirimpettai rossoneri. Cori che, regolamento alla mano, rientrano nell’alveo della discriminazione territoriale. Però siccome rivolti ai romani e ai Laziali nello specifico s’è deciso di sorvolare. Non un annuncio dallo speaker, non una parola di condanna nel post partita. Allora decidiamo: o tutto o niente. Sennò la vera discriminazione diventa questa. Lasciare che alcuni possano essere oggetto d’offesa nell’indifferenza generale.


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